Ascoli, mai più Da Cruz trequartista

La sconfitta del Vigorito è eccessiva, ma la squadra continua a palesare gli stessi limiti di sempre

Ascoli, Da Cruz (foto Labolognese)

Ascoli, Da Cruz (foto Labolognese)

Ascoli, 29 dicembre 2019 - Ci hanno perso tutti a Benevento, come ad Udine col Pordenone. Per questo sgombriamo subito il campo: se pensate che le quattro pappine con cui l’Ascoli di Zanetti va in vacanza siano monito per rimettere tutto in discussione, specie a livello di guida tecnica, potete cliccare in alto a destra la “X”. Noi non la pensiamo così. LUNA. L’Ascoli ha un solo, incredibile, forse incorreggibile, difetto. Non fa le scelte giuste. Non fa quasi mai le scelte giuste. E parliamo di scelte che sono nel dna di un giocatore quando si trova, da solo con se stesso, a scegliere quale file della propria mente di calciatore aprire per effettuare qualcosa di tattica, tecnica o un semplice gesto. Perché noi siamo del parere che Zanetti abbia grossi margini di miglioramento e che sbagli in alcune cose, poi ne parleremo. Ma non possiamo dare a lui la responsabilità di un giocatore che si dimentica l’avversario sulle palle inattive (vedi Petrucci con Tuia oggi, recidivo peraltro) o che arrivato davanti al portiere avversario, in corsa, con una palla praticamente solo da spingere, decida di passarla ad un compagno rimettendo in gioco tutta l’azione offensiva che invece andrebbe chiusa. Se fosse anche con un calcio del pallone sulla Luna. Per questo, quando Ardemagni ha cercato l’assist a Da Cruz dopo che Cavion aveva inventato il coast to coast dell’inverno 2019/20, abbiamo capito che il Benevento avrebbe vinto. Il Benevento, quando arriva nei pressi della porta avversaria, la sfonda. O quantomeno sfonda il pallone provando a violare qualsiasi porta. L’Ascoli no. Stasera no. Altre volte no. Arriva sempre ad un centimetro dal compiere quello che andrebbe fatto bene, con grinta, precisione, intensità, decisione, fino all’ultimo istante. Per questo il Benevento vince le partite, e anzi le stravince giocando fino alla fine e l’Ascoli invece gira la boa come un’incompiuta. NOMI. Non è una questione tattica, perché i bianconeri tengono il campo in maniera egregia sia a Udine che al Vigorito, dal punto di vista dell’organizzazione, e questo dimostra che la preparazione dei “macro-argomenti” del match è ottimale. L’Ascoli esce con le ossa rotte da questo tipo di partite perché i suoi uomini mettono un pizzico di concentrazione, grinta, voglia, intensità in meno di quello che servirebbe. Ma che, nostro malgrado, è decisiva. E quella non la dà il patron Pulcinelli, non può darla l’allenatore, non può darla neanche uno dei compagni all’altro. Se non ce l’hai, non ce l’hai nel dna. Per questo motivo al mercato di gennaio a nostro avviso il direttore Tesoro non deve cercare nomi. Non servono. Deve cercare un paio di uomini (o forse tre) che hanno dimostrato, anche nelle categorie inferiori, di avere nel dna e nel curriculum di essere collegati novantasei minuti su novanta sulla partita. E che se bisogna dare 100, si dà 100, perché a volte 99 non basta e quel punto che manca genera blackout che trasformano partite ben giocate in figuracce nel tabellino. IMPIEGATO. Mister Zanetti, di suo, deve convincersi che questa squadra senza Ninkovic non ha un trequartista. E non può snaturarla in nome dell’equilibrio tattico. Perché se sei equilibrato ma sbagli i dettagli, prendi comunque quattro gol. Se hai Da Cruz devi farlo ricevere fronte alla porta ed erba da calpestare, anche perché altrimenti commette errori di giudizio e gli si chiude la vena, togliendo certezze ed energie ai suoi compagni. Se hai Scamacca devi tenerlo dentro l’area. Se hai Brlek puoi chiedergli solo di fare, con idee e muscoli, l’impiegato del centrocampo. Non è un artista. Non potrà esserlo almeno finché non si adatterà al nostro calcio. Non abbiamo altri appunti da fare al tecnico. Non è “colpa” sua se Petrucci si dimentica di toccare l’avversario per non fargli prendere posizione sui piazzati. L’Ascoli è da sesto-dodicesimo posto. E’ il campo a dirlo. Chi pensa altro mente sapendo di mentire.