Mengoni, Cherubin, Agazzi, le urla che mancavano all'Ascoli Picchio

Da quando è rientrato il capitano e sono scesi in campo i due nuovi acquisti la tendenza ad abbassare la testa è senza dubbio diminuita, anche se la strada per la salvezza è ancora molto lunga.

Andrea Mengoni, capitano bianconero

Andrea Mengoni, capitano bianconero

Ascoli, 17 marzo 2018 - C'è un momento della partita, un preciso momento della partita Ascoli-Ternana in cui si capisce che la stagione bianconera no, non è ancora finita come gli eventi sembrerebbero far intendere. Facciamo un elenco: gol ingiustamente annullato a Padella, gol ingiustamente annullato a Carpani, pari della Ternana su carambola che va dritto sulla “Horror Deejay” di Luca Franchini a Goal Deejay (per una volta che non ci va Gigione Addae...), infortunio grave di Carpani, espulsione (meritata, sciocca, colpevole, sanguinosa) di Mignanelli. Insomma, tutto ciò che metterebbe in ginocchio una squadra in salute, figuriamoci l'Ascoli di oggi. Incerottato, col morale sotto ai tacchi, senza appelli e con l'acqua oltre la gola, praticamente sulle labbra. Eppure ad un tratto del secondo tempo Cherubin arriva in scivolata da dieci metri di distanza dall'avversario, vicino alla bandierina del calcio d'angolo alla sinistra di Agazzi, sotto la Sud, andandosi a prendere gli applausi della gente e facendo vedere a tutti che no, la squadra è tutt'altro che pronta ad arrendersi. L'ex Verona si rialza subito, si sistema, e lancia due-tre urlacci contro i compagni di squadra per richiamarli ed incitarli. Lo stesso fa qualche secondo dopo Mengoni. Non è un aspetto da poco. L'Ascoli di qualche settimana fa giocava facendo il solletico, davanti, all'avversario e ogni volta che si trovava di fronte alla difficoltà, specie dietro si scioglieva combinandole di tutti i colori. E i giocatori guardavano in terra, se non tutti quasi. Stavolta no. E' brutto dirlo, ma gente con “huevos” (come dicono in Spagna indicando quelli che noi in Italia chiamiamo “attributi”) come Mengoni e Cherubin, che quando vanno contro l'avversario per contrastarlo, se serve lo abbattono, che trascinano anche i compagni che sono meno “cuor di leone” o che hanno bisogno di una miccia per innescare anche la loro, di “garra”, fino a qualche settimana fa mancava in campo. Non c'era perché un piano ben preciso aveva delineato l'assenza di giocatori di questo tipo. Non si volevano. E invece, con le lacune offensive ormai arcinote, è solo attraverso le certezze morali e “huevos” che questa squadra può provare (provare, perché ora dipende anche dalle altre) a salvarsi. Ora è Cosmi a dover svoltare la stagione: deve, per forza, trovare una strada per permettere ai suoi di avvicinarsi di più, con più uomini, con maggiore incisività e gamba, negli ultimi trenta metri avversari. Non è il momento di vivere di illusioni, al traguardo manca ancora tanto, troppo. E' la squadra la prima a doverlo sapere, perché l'ambiente la resistenza alla sofferenza ce l'ha nel dna e non deve imparare a soffrire da nessuno...