Martinsicuro (Teramo), 3 luglio 2012 - FILIPPO Speziali, 53 anni di Martinsicuro, nostromo della nave Buccaneer sequestrata dai pirati somali l’11 aprile 2009 nell’Oceano indiano, è un uomo distrutto dentro, e non solo. I quattro mesi di prigionia hanno minato la sua mente e il suo fisico. Per questa ragione il suo legale, l’avvocato Ernestina Portelli, nel presentare l’azione di risarcimento danni presso il giudice del lavoro di Ravenna contro la Micoperi, armatore del Buccaneer, ha chiesto, per il suo assistito, 5 milioni di euro.

ABBIAMO incontrato Filippo nella sua abitazione a Martinsicuro e ci ha raccontato come vive ancora quella tremenda esperienza. Prima, però, ha tenuto a precisare che, trascorsi 11 mesi post sequestro, ha anche provato a tornare a lavoro presso lo stesso armatore, la Micoperi di Ravenna, a bordo di un rimorchiatore, ma dopo 5 mesi ha subito un infortunio a bordo e dal gennaio del 2010 è a casa senza lavoro, con l’indennizzo della cassa marittima che è finito da tempo. «Mi sento male, ho problemi molto seri di giorno e di notte. Non riesco più neppure a dormire — dice Speziali —. Sono costretto ad assumere farmaci per disturbi psichici».

Filippo si rivolge alla moglie, che lo segue come un’ombra, e la invita a leggere il referto della perizia legale di parte in cui si evince che nei 120 giorni trascorsi nelle mani dei pirati somali ha subito coercizioni, violenze fisiche e umiliazioni, minacce di morte. Ha vissuto quattro mesi in condizioni di estremo degrado, mangiando cibi avariati e costretto a dissetarsi con le urine dei propri sequestratori. Oggi Filippo non è più in grado, secondo la perizia cui si è sottoposto, di godere del proprio benessere psicofisico e ha difficoltà a relazionarsi con gli altri.

«SOFFRO di angoscia, ho crisi d’ansia, sono diventato impulsivo e a volte soffro di depressione — aggiunge lui —. Ho anche problemi economici non indifferenti perché mia moglie e mia figlia non lavorano e io sono in queste condizioni». Filippo mostra poi il lungo elenco di farmaci che assume giornalmente e il referto dell’ecografia del fegato. «Ero una macchina perfetta prima del sequestro, adesso ho scoperto che dopo aver bevuto quelle urine il mio fegato è seriamente minato» dice il nostromo, che aggiunge: «Ora gli armatori sono obbligati a fare l’assicurazione contro atti di pirateria, in quei tempi non era così, ma questo non significa che i danni non devono essere risarciti».

L’AVVOCATO Ernestina Portelli ricorda di aver allegato agli atti anche le lettere che Filippo scriveva alla moglie e alla figlia quando era nelle mani dei pirati. Lettere che fanno rabbrividire perché il nostromo credeva di morire. I pirati sono arrivati anche al punto di portare tutto l’equipaggio sul ponte simulando un’impiccagione di massa.

di Marcello Iezzi