Il mare, primaria fonte di vita, e la capacità dell uomo di riempirlo di rifiuti e farlo ’bollire’ per le alte temperature causate dal cambiamento climatico. C’è chi però combatte in prima linea per cercare di proteggerlo: oltre alla Fondazione cetacea di cui parliamo nell’articolo sopra, la biologa maria e subacquea di San Benedetto Martina Capriotti. La ricercatrice Unicam porta avanti studi sull’inquinamento marino e sugli effetti nella vita marina, inoltre ho tenuto lezioni in Cina, Unicam ha partnership con Zhenzhou. "Molti rifiuti – spiega Capriotti – derivano dalla pesca, ed ecco che vengono trovate le lenze e le retine delle cozze, ma anche buste di plastica. Nelle acque di San Benedetto ne ho trovate con scritte croate o albanesi trasportate dalle correnti, a Lampedusa ne ho rinvenute altre con scritte in arabo".
Capriotti, i fondali sono sinonimo di bellezza: dove è rimasta piacevolmente sconvolta in tal senso?
"Nel Mediterraneo dove sono rimasta colpita dal livello di biodiversità, da quante specie ricoprono le rocce, da quante si muovono sott’acqua. In alcune profondità ho trovato dei colori fantastici".
L’altra faccia della medaglia sono i rifiuti che si trovano sott’acqua. Cosa la colpisce quando esplora le profondità dei mari?
"Come questi rifiuti si siano incardinati nell’ambiente marino: così sono stata spinta a studiare l’inquinamento marino e quello sott’acqua. Non tutti esplorano i fondali e magari non si pensa che certe azioni sulla terra possano influenzare l’ambiente marino, ciò mi spinge alla divulgazione scientifica a un pubblico ampio nella consapevolezza di quanto sia fondamentale educare le future generazioni. Mostro così ai giovani le microplastiche che si trovano sott’acqua".
Come è lo stato di salute dell’Adriatico?
"Il nostro mare ha due caratteristiche, è pescoso essendo ricco di nutrienti ed ecco spiegate anche le tante specie presenti. Però per conformazione è un mare semichiuso ed è minacciato da elementi di contaminazione perché la circolazione delle acque non è sufficiente".
Cosa le ha permesso di aggiudicarsi la borsa di studio di National Geographic e Sky Ocean Rescue?
"Il mio interesse era studiare le microplastiche, cioè pezzettini di plastica presenti in mare e per la maggior parte invisibili a occhio nudo. Ero interessata a capire come i contaminanti chimici potessero interagire con le microplastiche e quindi viaggiare assieme. Sono diventata explorer ed entrata nella comunità internazionale degli esploratori della National Geographic".
Cosa l’ha spinta a tornare in Italia dagli Stati Uniti?
"Il cuore. Il Mediterraneo è un mare bellissimo ma è minacciato, mi sono detta perché fare ricerca in altri mari quando il mio merita attenzione".
lo. mo.