"C’erano stati segnali nei giorni precedenti Ho ancora l’angoscia"

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di Matteo Porfiri

Armando De Vincentiis, qual è l’immagine che porta dentro di sé riferita al 5 settembre del 1972?

"Ricordo ogni singolo momento, purtroppo. Non ho un episodio particolare che mi colpì, perché furono ore drammatiche. Ore nelle quali il nostro villaggio era circondato dalla polizia, da gente che piangeva. Ogni tanto si sentiva qualche esplosione. Avevo 29 anni. Ero completamente scosso. Anche io, così come Tonino Brutti, mi trovavo nello stabile situato accanto alla palazzina della delegazione israeliana. Ed ebbi tanta paura, lo ammetto. Però, ad essere sincero, mi aspettavo che qualcosa accadesse perché avevo percepito degli strani segnali". A cosa si riferisce?

"Nei primi quattro o cinque giorni delle Olimpiadi, ad esempio, c’erano controlli serratissimi all’interno del villaggio olimpico. C’era la massima sorveglianza e nessuno, se non fosse stato autorizzato, sarebbe potuto entrare. Poi, una mattina mi sveglio e noto che qualcosa era cambiato. Addirittura, un signore napoletano era riuscito ad allestire una bancarella proprio all’interno del villaggio. Questo era un chiaro segnale riferito al fatto che i controlli erano diminuiti. Poi, il giorno prima dell’attentato, notai che il tabellone in cui gli israeliani annotavano il loro ‘ordine del giorno’, tra orari di allenamento, risultati e impegni vari, era stato imbrattato con della vernice rossa. Avevo intuito che non si trattava di un semplice dispetto".

Cosa ricorda di quella mattinata?

"Era molto presto, stavamo ancora dormendo. Ma fummo svegliati dalle urla e da alcuni colpi di arma da fuoco. Ci affacciamo e ci rendemmo conto che stava accadendo una catastrofe. Tra di noi ci guardavamo sgomenti. Era incomprensibile che una manifestazione come le Olimpiadi potesse trasformarsi in un autentico massacro. Nei giorni successivi all’aggressione, la polizia ci scortava in ogni minimo spostamento".

Chi decise di far proseguire le Olimpiadi?

"La decisione venne presa dalle autorità, ma furono gli atleti della delegazione di Israele a chiedere di portare avanti i Giochi. Ma, ormai, i risultati delle gare non interessavano più a nessuno. Io avevo già gareggiato e tornai a casa due giorni dopo l’attentato. Con la morte del cuore e un senso di angoscia che, dopo 50 anni, è ancora dentro di me".