Coronavirus Ascoli, il paziente 1 a casa. "La fine di un incubo"

"Sono tornato da Bormio il 3 marzo, dopo un paio di giorni ho avuto i primi sintomi. Ringrazio gli angeli che lavorano in ospedale"

L'imprenditore è rimasto otto giorni in terapia intensiva

L'imprenditore è rimasto otto giorni in terapia intensiva

Ascoli Piceno, 4 aprile 2020 - Il primo caso di Coronavirus, almeno tra quelli ufficialmente riconosciuti, è stato individuato ad Ascoli l’11 marzo. A risultare positivo al tampone un imprenditore di 64 anni che oggi, dopo circa un mese di tribolazioni, può dire di avercela fatta. "Sto bene – dice al telefono chiedendo di mantenere il riserbo sul nome – manca solo la certificazione della negatività: lunedì farò nuovamente il tampone e nel giro di qualche giorno avrò la risposta".

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Se si volge indietro cosa vede? "Un’esperienza forte, che indubbiamente lascerà il segno. Non posso definirla positiva, è chiaro, ma devo dire che tra le cose indelebili c’è la professionalità e l’umanità dei medici e degli infermieri. Qualcosa di eccezionale. Di questi tempi può sembrare una frase fatta ma vi assicuro che non è così. Davvero voglio ringraziare di cuore, e vorrei farlo ogni giorno della mia vita da qui in avanti, la dottoressa Tiziana Principi, primario della rianimazione di San Benedetto, il dottor Vittorio D’Emilio, primario di pneumologia di Ascoli e il dottor Maurizio Parato, primario di cardiologia di San Benedetto. Con loro anche i relativi staff, dagli infermieri a tutti quelli che si sono presi cura di me e degli altri pazienti. Un grazie va anche al sindaco Marco Fioravanti che si è preoccupato, mi ha chiamato e soprattutto è intervenuto quando vergognosamente qualcuno ha fatto circolare la mia foto e il mio nome sui Whatsapp di tutta la città, come se fossi l’untore della peste".

Tra l’altro lei non ha contagiato nessuno giusto? "Esatto, neanche tra i miei familiari. Mi sono ammalato io da solo, non so ancora come, e sono guarito. Ma al di là di questo penso sia inqualificabile il comportamento di chi si è messo a puntare il dito su di me e su altri che sono incappati in questa brutta storia. Purtroppo i social in mano agli idioti fanno danni incalcolabili".

Qualcuno l’ha anche ‘accusata’ di essere stato in settimana bianca a Bormio. "Che è un’altra stupidaggine, perché le piste da sci distano più di 200 chilometri dal Lodigiano, dove c’era l’unico focolaio conosciuto all’epoca. Io ero con una comitiva di 14 persone e sono stato l’unico ad ammalarmi, quindi, tra l’altro, non è detto che abbia contratto il virus lì".

Quando se n’è accorto? "Sono tornato da Bormio il 3 marzo, dopo un paio di giorni ho avuto i primi sintomi: difficoltà respiratorie e febbre che è arrivata anche a 40. Lunedì 9 marzo ho fatto il tampone e l’11 è arrivato l’esito. Inizialmente sono rimasto a casa poi mi sono aggravato e sono stato portato a San Benedetto in ambulanza. Subito in rianimazione: sono stati i giorni più duri ma anche quelli in cui ho visto da vicino il lavoro di questi angeli".

Quanto è rimasto? "Otto giorni che mi sono sembrati un’eternità. Non potevo vedere né parlare con i miei familiari o interagire con qualcuno: gli altri erano tutti intubati. Mi sentivo come nel caveau blindato di una banca. Al massimo scambiavo qualche battuta rapida con gli infermieri. I miei familiari chiamavano il primario una volta al giorno e venivano informati. Dopo otto giorni sono tornato in reparto, prima al blocco operatorio poi in cardiologia, entrambi adattati a ‘reparti Covid’, sempre con il respiratore. Quando sono migliorato mi hanno rimandato a casa. La speranza, soprattutto grazie all’umanità del personale dell’ospedale, non l’ho mai persa. Ma è stata dura e non lo auguro a nessuno".