"Il derby vinto e io in mutande Ricordo unico"

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di Adolfo Leoni

Quando, nel 2014, alla Fiera delle qualità di Montegiorgio un agricoltore dei Sibillini, poi ritrovato al mercato fermano del sabato, espose i suoi ottimi agrumi, capimmo che la Terra di Marca era stata capace di competere anche in quell’ambito. Successivamente, arrivò il volume Giardini d’Arancio sull’Adriatico – L’agrumicoltura nelle Marche, aspetti colturali e artistici edito da Andrea Livi, che venne presentato a Grottammare l’otto ottobre 2016. I due autori: Aurelio Manzi e Germano Vitelli, coordinati da Vermiglio Ricci, avevano esaminato il "territorio che si estende lungo la fascia costiera da Porto San Giorgio a San Benedetto del Tronto e lungo le località limitrofe medio-collinari e collinari sino a 500 metri di altitudine sul livello del mare". In questa porzione di Piceno "sono ancora leggibili i segni della tradizione agrumicola dal secolo XVI ai giorni nostri". D’altronde, basterebbe viaggiare con gli occhi ben aperti per cogliere, specie dopo Pedaso e verso sud, ancora dei muri a secco che servivano per riparare gli agrumeti dal vento freddo del nord. Non solo, ma l’esistenza di una Villa chiamata degli Aranci a Torre di Palme indica la presenza di floridi aranceti.

Gli autori del libro hanno compiuto un viaggio di ricerca iniziato già nel 2006. Il territorio esaminato "si estende lungo la fascia costiera da Porto San Giorgio a San Benedetto del Tronto con appendici a Civitanova Marche, Ancona, Fano e Pesaro". 25 le realtà scoperte "sparse – per dirla con Ricci – tra l’ascolano e il fermano". Un patrimonio che abbisognava di "interventi migliorativi per non scomparire dalla memoria collettiva". Parlarne, significa offrire spunti anche per il futuro economico delle nostre contrade. Per cui dovremmo ricordare che Plinio, nella Naturalis Historia, citava le buone pere del Piceno, così come Orazio, nelle Satire, lodava le nostre mele. Tornando a Plinio, l’autore latino non perdeva occasione per sottolineare la bontà delle olive e dunque degli ulivi di casa nostra. Mentre, per i vini, erano molto apprezzati anche per "le loro proprietà terapeutiche". Ancora. Il trattato commerciale con Venezia del 1260 impegnava Fermo, come scrive il Pirani, "a garantire rifornimenti di derrate agricole: grano, orzo e spelta, olio, vino, legumi (fra cui fava e cicerchia), e altri prodotti (castagne, fichi, olive e semi di lino)...", coltivati in abbondanza in Terra di Marca. Sollecitazioni per una nuovaantica economia? Quantomeno spunti su cui riflettere.