Il futuro della regione che strizza l’occhio a Toscana e Umbria

Non solo economisti e qualche politico, ma anche tanti comuni cittadini sono convinti che il futuro dei marchigiani è oltre gli attuali confini. Confini che vanno traslati verso Toscana ed Umbria. Motivo? Le Marche hanno perso da anni il pur flebile interesse attrattivo dei grandi industriali italiani ed europei. Persino gli istituti di ricerca e analisi, nei loro rapporti, sfumano visioni e commenti, su una Regione definita di transito. Di un’entità territoriale-politico-industriale della quale, da decenni non si percepisce l’esistenza di una riconosciuta figura prestigiosa e autorevole, non solo politica, in grado di prendere il timone della regione, per riportarla a navigare. Non che non vi siano stati e vi siano pubblici amministratori bravi e attivi, ma lo sono stati e lo sono con una visione limitata al presente. Convinti di attrarre e conservare la benevola attenzione dei cittadini elettori.

Nessun presidente di regione è, sino ad oggi, riuscito a coinvolgere il governo nazionale, sulla chiusura di oltre duemila aziende calzaturiere, quattrocento mobilifici e alcune grandi, storiche industrie, entrate in una crisi progressiva. Il Veneto, la Liguria, gli Abruzzi e persino la piccola Basilicata hanno saputo reagire con progetti ed iniziative politiche di grande respiro economico-occupazionale, per attrarre grandi aziende industriali italiane ed europee. Da immemorabile tempo non nasce una azienda industriale nelle Marche, l’eccezione Civitanavi di Pedaso non può mutare l’analisi complessiva della regione. Si ritiene utile informare che le Marche sono note in tutta Europa, ed in particolare Germania e Polonia, per i numerosi servizi televisivi che venivano effettuati ripetutamente, nei tre distretti industriali, non solo per il prodotto, ma per la originalità evolutiva Dalla mezzadria a cinquemila aziende e cinquecento unità locali. Da semplice cittadino, sia consentito fare appello ai partiti, province e mondo datoriale, perché consentano alle ’Partecipate’ attive e ben gestite, di investire in comparti diversi da quelli originari, come vere e proprie aziende che operano e producono, sapendo competere, in un periodo, peraltro, in cui il privato è presso che assente. Rimane attivo, tuttavia, l’interrogativo delle Marche più grandi, con Umbria e Toscana nel ruolo di spunta, pungolo e traino del sistema Marche. Per concludere si deve riconoscere che da fine secolo i politici marchigiani siano stati passivi testimoni nel passaggio da uno stato di vivace dinamismo economico industriale a quello del vivere il quoditiano.

Ubaldo Renzi