La Procura di Ascoli ha presentato ricorso contro la sentenza assolutoria "perché il fatto non sussiste" emessa lo scorso febbraio dal tribunale di Ascoli a carico di due medici dell’ospedale Mazzoni, Gianluca Guercioni ed Ernesto Basaglia, accusati di omicidio colposo per la morte di Singh Pargat, un 54enne di nazionalità indiana residente a Comunanza, deceduto il 27 ottobre 2016 all’ospedale Torrette di Ancona dove era stato trasferito a seguito di complicanze. Nei loro confronti aveva chiesto la condanna a sei mesi ognuno il pubblico ministero Cinzia Piccioni che, ascoltata la sentenza assolutoria, aveva fin da subito annunciato ricorso in Appello. Il giudice Matteo Di Battista motivò l’assoluzione spiegando che nel corso dell’istruttoria dibattimentale non era stata raggiunta la prova della piena colpevolezza dei due medici. Secondo l’impianto accusatorio, uno dei due medici, nel visitare in ambulatorio il paziente "giunto con sospetto di ipertensione portale distrettuale e ipersplenismo attestato dall’ospedale di Amandola", non avrebbe approfondito i dati clinici, dando invece "indicazione definitiva di procedere a colecistectomia per via laparoscopica (con la sonda) e non per via laparotomica (una normale incisione)" come – secondo il pm Piccioni – "sarebbe stato consigliabile" a fronte di una anatomia venosa portale alterata che "lasciava prevedere complicazioni legate alla lesione ai vasi sanguigni che si è verificata proprio nel corso dell’intervento effettuato quello stesso giorno insieme all’altro chirurgo".
Per il magistrato "i due imputati dovevano cooperare al meglio nella gestione del rischio chirurgico: hanno commesso errori nell’inquadramento diagnostico che ha portato alla scelta della laparoscopia, ma anche nelle modalità dell’intervento durante il quale è avvenuta una massiva emorragia della vena porta causata dall’uso della cannula ’trocar’". Gli avvocati difensori (Pagnoni e Iadecola per Guercioni, Venturi e Mariani per Basaglia) hanno fatto leva su quanto sostenuto dal professor Tombolini, consulente della Procura, facendo notare al giudice Di Battista che lo stesso perito dell’accusa ha detto che "la complicazione emorragica non è colpa del laparoscopista, il quale si è trovato in una condizione di difficoltà operatoria estrema" aggiungendo che "la scelta dell’intervento non è discutibile sulla base dei dati che l’operatore chirurgico ha".
Peppe Ercoli