La solidarietà ora deve continuare

Flavio

Nardini

Siamo un popolo di santi, poeti, navigatori e ci scopriamo, ogni volta davanti alle emergenze, campioni di solidarietà. Che bella parola, solidarietà. Il dizionario recita così nella sua estensione al significato: "La coscienza viva e operante di appartenere a una comunità, condividendone le necessità, in quanto si esprime in iniziative individuali o collettive di sostegno morale o materiale". Appartenere a una comunità attraverso iniziative di sostegno. È quello che sta succedendo in questi giorni anche dalle nostre parti, con autobus carichi di aiuti partiti alla volta di Cracovia o Leopoli e magazzini stracolmi di beni di prima necessità per la popolazione ucraina. Ci siamo allenati con il terremoto e nei mesi di lockdown, quando questo tipo di raccolte hanno mostrato il miglior volto che siamo in grado di offrire. E lo torniamo a mostrare oggi, benché questo sia ben poca cosa rispetto a quello che stanno patendo a pochi chilometri da noi, in quella parte del mondo che è Europa ma non ancora Unione Europea. Troppi bimbi già uccisi, uomini e donne costretti a combattere per difendere i propri ideali contro l’invasore, mentre chi può fugge facendoci capire che ci sarà un’emergenza nell’emergenza. I profughi ucraini stanno raggiungendo le nostre città, le prefetture si stanno organizzando per accoglierli negli alberghi. Starà a noi poi non isolarli ma farli sentire parte della nostra comunità. E qui torniamo alla parola solidarietà e al suo significato: sostegno morale e materiale. Negli anni ne abbiamo sentite di ogni tipo, da "stanno meglio di noi" ad "aiutiamoli a casa loro". Aiutarli a casa nostra, invece, è il minimo che possiamo fare guardando strade e ospedali distrutti, intere città spazzate via. Il manifesto di Ventotene immaginava un’Europa unita già ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Otto decenni dopo un’altra guerra ci sorprende, ma c’è la possibilità di mostrarci uniti davvero.