L’Arma ricorda il generale Alberto Dalla Chiesa e il suo legame speciale con il Piceno

Verrà ricordato oggi il tragico epilogo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo, uccisi in un agguato mafioso a Palermo il 3 settembre del 1982. Il suo ricordo è legato anche al Piceno. La sua vita nell’Arma dei carabinieri cominciò infatti a dicembre 1942 a San Benedetto, suo primo incarico da giovane ufficiale, quando gli venne assegnata la guida dell’allora Tenenza e dove rimase fino alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Trovandosi in provincia di Ascoli, venne affrontato dai partigiani comunisti della zona che temevano che fosse il responsabile del blocco dei rifornimenti di armi che gli alleati di tanto in tanto riuscivano a spedire via mare. Alla domanda "Lei con chi sta, tenente, con l’Italia o la Germania?", Dalla Chiesa rispose offrendo la sua collaborazione, ma a causa del suo rifiuto di collaborare nella caccia ai partigiani, fu preso di mira dai nazisti e fu costretto a fuggire. Entrò quindi nella resistenza italiana, operando in clandestinità nelle Marche, unendosi alla "Brigata Patrioti Piceni" di stanza a Colle San Marco. In seguito, divenne uno dei responsabili delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli Americani. Nel 40esimo anno dalla sua morte, l’omaggio più bello è sicuramente quello di ricordarlo attraverso la sua frase più celebre: "Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli".

Peppe Ercoli