Le tante vicende della quercia più bella d’Italia

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Pochi di quelli che oggi hanno una certa età non si sono fermati, magari nella gita domenicale verso la Madonna dell’Ambro, a rinfrescarsi sotto la sua grande chioma di 34 metri di diametro. Aveva un fusto della circonferenza di quasi sei metri e un’altezza di ventidue: una delle gigantesche grandi querce d’Italia, la più famosa. ’Cerquabella’, che per secoli fece da guardia lungo la strada Faleriense, sotto Montegiorgio, morì dopo una lenta agonia nel 1986, quando, dopo alcune stagioni di timido germoglio, le foglie smisero di nascere e la pianta avvizzì, forse vittima dei tagli sul fronte stradale e delle arature meccaniche che ne colpirono le radici. Anche se il termine di ’quercia bella’ lo ritroviamo riferito ad altri alberi monumentali, quella di Montegiorgio ha avuto il riconoscimento di più bella d’Italia, tanto famosa da essere segnalata nelle guide e nelle carte stradali del Touring Club Italiano come monumento da visitare. Nonostante sia morto, questo gigantesco albero è ancora un monumento: resiste al tempo, rudere emblematico della passata rigogliosità, con i monconi dei tronchi principali ai quali, per motivi di sicurezza, sono stati tagliati tutti i rami. È stato scritto a questo proposito: "Cerquabella era un albero che avrebbe meritato un monumento per la sua incomparabile bellezza, ma non ce n’è stato bisogno: il suo monumento se l’è eretto da sola". Potesse parlare, racconterebbe tante storie: delle comitive che nei giorni di festa si raccoglievano alla sua ombra, delle carovane di zingari che si fermavano a bivaccare tutt’intorno, delle guerre e scaramucce che per secoli vi si combatterono. Ma soprattutto l’affetto della gente che per ’Cerquabella’ aveva e conserva tuttora una rispettosa venerazione. Racconterebbe anche l’inizio della sua fine, quando, per allargare la sede stradale della statale Faleriense, abbatterono… sua figlia, una quercia altrettanto bella ma più piccola che le era cresciuta a pochi metri. La sua è una delle tante storie di questa terra e il suo rudere è ancora lì a raccontarla.

Giovanni Martinelli