Lo spirito di Licini, uomo e artista

Opere in mostra a Monte Vidon Corrado, un viaggio nell’entroterra Fermano dove il pittore visse e morì.

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’La regione delle madri. I paesaggi di Osvaldo Licini’. Con riferimento a luoghi come archè, dimensione in cui tutto ha origine, è il titolo della mostra a cura di Daniela Simoni in corso a Monte Vidon Corrado. Un evento che si concentra sul tema del paesaggio e approfondisce la genesi, l’itinerario artistico dell’illustre figlio di un piccolo paese dell’entroterra fermano dove il pittore visse e dove morì nel 1958. Amico di Giorgio Morandi con frequentazioni a carattere internazionale, "eretico, erotico, errante", giovane irrequieto per quelle vite "che non si sa mai", e la condizione di errante si trasfigura, poi, nel viaggio dell’anima. Monte Vidon Corrado, dopo la permanenza parigina, sarà il porto sicuro dove inebriarsi di quiete, il luogo dove era possibile andare restando fermo, disegnare un itinerario dentro sé stesso, alimentarsi della fascinazione leopardiana di "interminati spazi e sovrumani silenzi".

Nutrirsi di una dimensione contemplativa con lo sguardo rivolto al cielo nella "sera che si veste di velluto". La notte a parlare con la luna quando "la vita è un esile spazio, il cielo così vicino", scriveva quel Giacomelli che il mondo lo aveva raccontato attraverso la fotografia. Nella casa natale di Licini, oggi casa museo, e negli spazi del Centro Studi, il percorso espositivo riunisce oltre cento opere a partire dai paesaggi marchigiani degli anni venti, alcune marine e paesaggi francesi, sino alle astrazioni geometriche e quelle del figurativismo intellettuale. Un paesaggio marchigiano del 1925 ci restituisce due alberi come sentinelle a scrutare l’orizzonte, le pennellate nervose di un altro paesaggio marchigiano disegnano il verde di alberi e case allineate che guardano a valle. Una vibrante ed essenziale gestualità sintetizza la scena di colline marchigiane, la pastosità coloristica di un altro paesaggio ci riporta alla lezione dell’impressionismo.

Una decisa linea curva crea la montagna sullo sfondo di Servigliano, le case come fossero in un presepe sono quelle di Montefalcone, di Falerone è un albero spoglio e scheletrico. Talora i tratti sono più liberi, matrice di quella originale struttura segnica e cromatica, della sua scalata al cielo che vira verso la creazione degli "Angeli ribelli", i singolari paesaggi notturni, le forme bizzarre, le celebri Amalassunte, metafore della luna. E non si può comprendere questo Licini se non si guarda indietro. C’è un "Paesaggio fantastico", opera straordinaria datata 1927: un angolo con vivide cromie lascia il campo ad una dimensione dal chiarore onirico, come uno di quei giorni senza sole che consentono migliori riflessioni sul senso della vita. Una essenziale, sinuosa linea disegna il profilo di un capro visto di schiena, lo sguardo rivolto verso una montagna che si fonde con il cielo. Manifesto visivo che racchiude lo spirito dell’umana avventura. E c’è tutto Licini in quest’opera. C’è lo spirito di un uomo e di un artista che ha posato gli occhi su molte più cose di quelle che ha realmente visto. Una tela che, da sola, vale un viaggio a Monte Vidon Corrado. Emozioni assicurate da una mostra coraggiosa accompagnata da una ricca pubblicazione, frutto di lunghi studi e documenti storici con cinque testi di Daniela Simoni e contributi di altri valenti studiosi. Nell’anno più critico che conferma la necessità dell’arte nonostante tutto, traguardo che testimonia il valore dell’arte per l’esperienza umana, una mostra per ricordarci che l’arte non è una risposta. E’ una domanda che mantiene accesi i riflettori sul senso e il mistero della vita. E il suo inconoscibile segreto.

Cecilia Casadei