L’ora della verità sul caso Wick

Infermiere accusato delle morti sospette alla Rsa di Offida: fase decisiva del processo

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E’ entrato nella fase decisiva il processo a carico di Leopoldo Wick, l’infermiere accusato delle morti sospette alla Residenza sanitaria assistenziale di Offida. Davanti alla Corte d’Assise di Macerata l’uomo, 58 anni, deve rispondere di 8 omicidi premeditati e 4 tentati omicidi premeditati. Ieri sono stati sentiti i periti nominati dalla Corte per stabilire il nesso di causalità fra la somministrazione dei farmaci, le morti e i malori gravi degli anziani ospiti della struttura dell’Area vasta 5. In base a quanto stabilito dai periti nominati dalla Corte, i professori dell’Università di Pisa Elisabetta Turillazi, Silvio Chiericoni e Antonello Di Paolo, bisogna concentrarsi soprattutto sui casi di anziani deceduti, in quanto per quelli che sono sopravvissuti agli eventi esaminati dalla Procura, non c’è certezza che siano stati veramente in pericolo di vita, anche se non si può escludere del tutto che siano vivi per le cure poi prestate loro. L’attenzione dunque è focalizzata sugli 8 casi di anziani deceduti, anche se fra questi in un caso non è stato possibile affermare con certezza la riconducibilità causale o concausale del decesso ad una eventuale intossicazione acuta da benzodiazepine "che non è dimostrata né dimostrabile". Per gli altri 7 casi i periti parlano di "elevata probabilità" o di "ragionevole probabilità" che l’assunzione di promazina o insulina abbiamo avuto un ruolo nel decesso. Per gli avvocati difensori, però, ammesso e non concesso che tutto sia vero, non è dimostrato che sia stato Wick a somministrare quei farmaci ai pazienti, soprattutto dopo che una testimone chiave ha ritrattato le sue accuse. Si tratta di un processo indiziario e la Corte d’Assise dovrà valutare ora il peso degli indizi in mano alla Procura, in particolare il ruolo avuto dai farmaci trovati nello zainetto che Wick portava sempre con sé quando faceva il giro per somministrare i farmaci agli anziani (non consentendo a nessun collega di partecipare) che gli investigatori ritengono di aver scovato quella che in gergo viene chiamata "la pistola fumante": c’erano insulina a lento assorbimento, nascosta nel contenitore di un altro farmaco, benzodiazepina, occultata in una scatoletta di tabacco, e un barbiturico contenente principio attivo Gardenale, farmaco equiparato a stupefacenti e soggetto a registrazioni su apposito registro.

Durante l’udienza di ieri sono stati sentiti anche i consulenti dell’accusa, Froldi, Cingolani, Alessandrini, Canestrari e Brandimarti che hanno confermato gli elementi d’accusa. I fatti sono avvenuti tra gennaio 2017 e febbraio 2019. All’infermiere sono contestate le aggravanti dell’aver commesso i reati con ripetute somministrazioni indebite di insulina e psicofarmaci come promazina, quetiapina, zolpidem, risperidone, leovosulpiride, benzodiopirene. Sostanze farmacologiche che, per dosi ampiamente superiori ai range terapeutici e per la loro stessa tipologia, secondo l’accusa erano assolutamente controindicate e tali da poter causare, come in effetti accaduto, il decesso dei pazienti.

Peppe Ercoli