Mamma morta folgorata La versione dei testimoni

Dal tecnico che curava le luci per Templaria all’ingegnere: i racconti in aula

Mamma morta folgorata  La versione dei testimoni

Mamma morta folgorata La versione dei testimoni

Prosegue davanti al giudice del tribunale di Ascoli Matteo Di Battista il processo riguardante la morte di Carla Benigni, la giovane mamma di Castignano, folgorata il 14 agosto 2015, alla vigilia dell’inizio di Templaria. Imputati sono la proprietaria della palazzina a Castignano dove è avvenuta la tragedia, il titolare dell’impresa che aveva fatto lavori sull’immobile e il direttore dei lavori stessi. Sono difesi rispettivamente dagli avvocati Enrico Pompei, Giuseppe Falciani e Mauro Gionni. Sono tutti accusati, a vario titolo, di omicidio colposo. Sono pare civile i familiari della donna deceduta, assistiti dagli avvocati Romina De Angelis e Mauro Pellegrini. Fu l’autopsia effettuata dal medico legale Pietro Alessandrini a far emergere che la morte della sfortunata donna non era dovuta ad un malore o all’impatto col terreno dopo la caduta dalla scala dove era salita per allestire addobbi in vista di Templaria. E’ stato poi appurato che c’era stata una dispersione anomala di energia elettrica su tutti i discendenti e che uno di questi potrebbe aver rilasciato la corrente a 220v che ha ucciso Carla Benigni.

Nell’ultima udienza è stato sentito il tecnico che curava l’illuminazione per la festa. Ha detto di aver istallato le luci prima dell’evento e che per lui era tutto normale. Erano anche stati messi sul posto dei "camminamenti elettrici" per consentire gli allacci. E’ stato sentito anche un dirigente dell’Ast addetto al servizio sicurezza il quale ha escluso che il luogo fosse un cantiere in senso tecnico, perché chiuso al febbraio 2009 e che a suo avviso si sarebbe trattato di un mero incidente domestico. Ha testimoniato poi la segretaria della ditta che ha eseguito il lavoro; ha descritto tutte le operazioni per il distacco dei cavi da parte dell’Enel, anche se materialmente non li ha visti al lavoro, le operazioni di chiusura del cantiere con una telefonata all’Enel per i ripristini. Sono stati sentiti infine due ingegneri; hanno spiegato che il corpo non poteva stare in quella posizione che la vittima avrebbe tagliato con le forbici un filo elettrico e che le resistenze misurate sul posto azzerano la potenzialità della corrente. Il processo è stato aggiornato al 15 maggio prossimo per l’audizione di altri testimoni.

Peppe Ercoli