Mimì, una vita sulla bici: "Che belle le tappe dure"

Emidio De Vecchis, classe 1927 di Mozzano, ha vinto 115 gare tra cui il titolo di campione marchigiano: "Sono contento di quello che ho fatto"

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Uno scalatore come lui non poteva che abitare su una salita, quella che conduce nella parte più alta del suo paese, Mozzano. Emidio ‘Mimì’ De Vecchis è uno dei ciclisti ascolani e marchigiani più amati e apprezzati, di quelli di un ciclismo pane e salame, quando le strade erano quasi sempre bianche e raramente asfaltate, di ammiraglie solo per le grandi corse e di tappe infinite e dure. Classe 1927, De Vecchis vanta nella sua carriera da dilettante e ‘indipendente’ ben 115 vittorie, tra cui il titolo di campione marchigiano nel 1949 e tre selezioni per i Mondiali. Protagonista di corse italiane come il Gran Premio Internazionale Pirelli a Milano, la Coppa Cristallo a Roma, il Trofeo Cadetti a Montecatini e la Corsa dei due Mari (vecchia Tirreno-Adriatico). "Il ciclismo è la mia vita, se mi togli la bici mi togli tutto" dice. E in effetti fino a qualche anno fa, prima che qualche frattura di troppo glielo impedisse, la salita di casa De Vecchis la faceva ancora in sella alla sua bici. Una tempra d’acciaio, mantenuta salda fin dal secondo dopoguerra quando, abbandonato l’amore per la corsa tramandato dal padre (Eugenio, apprezzato maratoneta), ha scelto, insieme al fratello Benito, la bici con cui avrebbe girato le Marche e l’Italia insieme a gente del calibro di Gastone Nencini, vincitore di un Giro d’Italia e di un Tour de France, Arnaldo Panbianco, vincitore del Giro del 1961, e il campione del mondo su pista Ercole Baldini di cui ricorda: "Non voleva sentire la salita, era forte a cronometro come Ganna".

Tra le maglie indossate quella dell’Uc Ascoli, della Federici ma anche della Fontespina insieme ad un altro indimenticato ciclista ascolano come Luigi Ferretti, Una carriera iniziata dopo i vent’anni nel 1948 per merito del compaesano Romolo Mariani e partita subito con grandi piazzamenti e vittorie, tra cui il titolo regionale con arrivo in salita a Loreto, quando, rimarca con orgoglio, "i titoli non si davano in una gara secca, ma dopo ben quattro prove". Una carriera, tuttavia, influenzata dalle coordinate spazio-tempo: stagioni dove l’Italia qualche anno prima si era innamorata del ciclismo grazie al dualismo tra Coppi e Bartali, non abbastanza però per far ancora affiorare il movimento nel Piceno. Tant’è che Mimì De Vecchis ripensa: "Sono contento di quello che ho fatto, perché l’ho fatto da marchigiano. Ma se fossi nato in Romagna avrei avuto una spinta per entrare da gregario in qualche grande squadra". Eppure tra i ricordi migliori non ci sono le vittorie: "Le corse a cui ripenso con più soddisfazione sono quelle dove mi hanno battuto in volata. Da scalatore mi piacevano le tappe dure, faticose, così spesso se ero in testa mi battevano sullo sprint". Come in una Coppa Cristallo a Roma, chiusa da secondo su 160 partenti, quando, nonostante la rottura della cinghia sul fermapunta riuscì a riprendere il gruppo. Altro ciclismo, altre gare: "Allora c’erano molte strade bianche, l’asfalto lo trovavamo solo nei pressi dei centri abitati e spesso dovevamo deviare dal percorso per via di un ponte bombardato dai tedeschi". La passione per lo sport è intatta, tant’è che non vedeva l’ora in questi giorni che iniziasse il Giro. Della tappa ascolana di domani dice: "L’ho fatta, è dura, specie dal Pianoro di San Marco all’arrivo. Credo che farà molta selezione, ma dipende dalle fughe e dalle strategie". Mentre non si sbilancia sulla maglia rosa: "Oggi non c’è chi svetta rispetto agli altri. Ma spero tanto che torni Nibali".

Emidio Premici