"Quel coltello non era di Graviano Adesso però va trovato il colpevole"

L’avvocato Camillo D’Angelo è il difensore del boss della mafia insieme al collega romano Federico Vianello. In Appello le accuse sono cadute: "La sua cella era stata perquisita 45 volte e mai era stato trovato nulla".

"Quel coltello non era di Graviano  Adesso però va trovato il colpevole"

"Quel coltello non era di Graviano Adesso però va trovato il colpevole"

"Se il coltello non era di Giuseppe Graviano, come ha stabilito la sentenza della Corte d’Appello di Ancona, come c’è finito nella cella dove era detenuto nel carcere di Ascoli in regime di carcere duro?". Questa la domanda che pone l’avvocato Camillo D’Angelo difensore del boss della mafia insieme al collega romano Federico Vianello. Graviano è stato assolto per non aver commesso il fatto in relazione al coltello ritrovato nella cella del carcere di Marino dove era detenuto al 41bis a giugno del 2017. Si trattava di una lama rudimentale ottenuta da una lattina e che secondo la testimonianza dell’agente che l’aveva scoperta era nascosta all’interno del tavolo. A seguito del ritrovamento il boss mafioso di Brancaccio era stato trasferito nel carcere di Terni. La Corte d’appello ha così ribaltato il giudizio di primo grado che si era concluso con la condanna di Graviano a 6 mesi di arresto e a mille euro di ammenda.

"La sua cella dal precedente mese di gennaio era stata perquisita 45 volte e mai era stato trovato nulla" spiega l’avvocato D’Angelo sottolineando che per Graviano, gravato da una serie di condanne per fatti di mafia gravissimi, "questa assoluzione è importante perché incide sui benefici carcerari, visto che il presunto reato, secondo l’accusa, lo aveva commesso in carcere". Per questo la difesa del boss aveva impugnato la condanna emessa dal giudice del tribunale di Ascoli Barbara Pomponi.

"Si sosteneva che aveva ricavato la lama fondendo una bomboletta di gas di quelle che si distribuiscono in carcere per i fornelletti in uso ai detenuti nelle celle. La nostra richiesta di perizia in primo grado non è stata soddisfatta – prosegue D’Angelo – Abbiamo quindi fatto appello e Graviano, proprio perché determinato a dimostrare la sua innocenza, ha rifiutato la prescrizione, ormai sopraggiunta". Ad Ancona la perizia è stata accordata dal giudice Basilli. "L’accertamento affidato ai carabinieri del Ris ha stabilito, oltre ogni ragionevole dubbio, che sul coltello rinvenuto non c’erano impronte, ma sono state riscontrate tre tracce biologiche, nessuna delle quali però riconducibile a Graviano che quindi è stato assolto con formula piena, tenuto anche conto che sulla lama non c’era nessuna scritta riconducibile alle bombolette di gas distribuite ai detenuti in quel periodo, come sostenuto in primo grado da un agente di polizia penitenziaria del carcere di Ascoli". Di chi erano allora? "E’ quello che chiediamo alla Procura di Ascoli di accertare dando seguito a quanto disposto dalla Corte d’Appello di Ancona con la trasmissione degli atti" conclude l’avvocato Camillo D’Angelo. Peppe Ercoli