Un dolore lungo dieci anni, e che probabilmente non si affievolirà mai, quello vissuto dai familiari di Alessandro Dotto, Giuseppe Palminteri, Mariangela Valentini e Paolo Piero Franzese, i quattro piloti che morirono, il 19 agosto del 2014, a causa dello schianto tra due Tornado dell’Aeronautica militare avvenuto sui cieli piceni. Nel decennale della tragedia, il comune di Venarotta e la stessa Aeronautica hanno voluto ricordare i ragazzi durante una toccante commemorazione, avvenuta lunedì pomeriggio a Gimigliano, dove è stato eretto un monumento a loro dedicato, a pochi passi da Poggio Anzù, la località venarottese in cui vennero ritrovati i primi resti delle vittime. Presente alla cerimonia anche Stefano Palminteri, il papà di Giuseppe.
Palminteri, che ricordo ha di suo figlio?
"Giuseppe era un ragazzo eccezionale, che stava realizzando il suo sogno. Il destino, purtroppo, ha voluto che tutto si interrompesse così. Ma, forse, mio figlio se lo aspettava. Fu un evento in particolare a farmelo capire".
A cosa si riferisce? Ce lo può raccontare?
"Un giorno, a pranzo, mentre la nostra famiglia era riunita, ebbe una sorta di premonizione. Di punto in bianco mi chiese: ‘Se dovessi morire, devo lasciare un testamento?’. Fu una domanda che mi lasciò di stucco e che, dopo quanto avvenuto, mi rimbalza di continuo nella mente".
A dicembre si è concluso il processo, con i due imputati che sono stati assolti. Lei che ne pensa?
"Dopo anni di battaglia, credo che alla fine la cosa più importante fosse chiudere una volta per tutte il discorso. Accettiamo la verità processuale e guardiamo avanti, nella consapevolezza che finalmente i nostri ragazzi possono riposare in pace, tranquillamente. Tanto niente e nessuno ce li riporterebbe indietro".
Che effetto le fa pensare che siano già trascorsi dieci anni?
"Il dolore è sempre lo stesso. Sembra che la tragedia sia avvenuta ieri. Tengo, però, a ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla commemorazione e tutta la comunità ascolana che ci è sempre stata vicina. Abbiamo perso dei figli, ma è come se ne avessimo acquisiti altri".
In che senso?
"Lunedì, alla cerimonia, si è presentato davanti a me un ragazzo de L’Aquila, che in quei giorni si prodigò come volontario nella ricerca dei dispersi. Ebbene, mi ha detto di sentirsi parte della mia famiglia e che ogni anno sarà lì, a ricordare i nostri ragazzi. Grazie. Grazie davvero. A tutti".
Matteo Porfiri