Shindler: "Ecco come liberammo Roma"

Il soldato della fantiera inglese nella Seconda Guerra Mondiale, oggi 99enne, vive nel Piceno: "È fondamentale ricordare"

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"Ah, quanto era bella…". Sono passati 76 anni da quel giugno 1944, ma Harry Shindler riesce ancora ad emozionarsi. Gli scorrono davanti le immagini della gente in strada, del via vai di soldati, dei negozi chiusi "tranne uno, un barbiere che fece una fortuna". Ma soprattutto, di Roma, subito dopo l’ingresso delle truppe Alleate, ricorda la magnifica bellezza: "A parole è impossibile descriverla e non potreste mai immaginarla. Quasi in uno stato di riposo dopo tanta sofferenza, senza caos e senza auto, ai miei occhi apparve meravigliosa. Contemplarla in pace dopo mesi di tensione fu un sogno". Il soldato della fanteria inglese Harry Shindler, arrivato ad Anzio con la nave dal Nord Africa, aveva 23 anni. In quei giorni non avrebbe mai potuto immaginare che il Paese dove era appena sbarcato in divisa, in piena guerra mondiale, sarebbe diventata la sua seconda casa: ad Ascoli, pochi mesi dopo, avrebbe conosciuto Ida Sorrentino, sua futura moglie e madre del figlio Maurizio, dal quale poi sarebbero nati tre nipoti e un pronipote che ha reso Harry bisnonno. Alla ‘vigilia’ del secolo di vita (taglierà il traguardo dei 99 anni tra un mese), con una lucidità e una voce da giovanotto, mister Shindler non si è stancato di "ricordare".

Il 4 giugno si è celebrato il 76esimo anniversario dell’ingresso degli Alleati a Roma, c’era anche lei?

"Fisicamente no, nel senso che mi trovavo a pochi chilometri, anche se avrei voluto e dovuto essere lì. Ma in realtà è come se ci fossi stato anche io. E, con me, tutti coloro che cinque mesi prima erano sbarcati ad Anzio".

Si spieghi meglio: perché non entrò in città con i suoi commilitoni?

"Perché gli americani, che avevano il controllo dell’operazione, per una settimana impedirono a tutte le forze alleate di mettere piede nella capitale appena liberata. L’ho sempre considerata una grande ingiustizia, perché allo sbarco di Anzio avevamo partecipato anche noi inglesi, i nordirlandesi, i canadesi, i neozelandesi e altri. Tutti coloro che avevano vinto la battaglia di Anzio avrebbero dovuto avere il diritto di entrare a Roma. Gli americani, però, decisero di fare così. Addirittura, pensate, due inglesi che violarono questo divieto furono arrestati dalla polizia militare statunitense. Incredibile, ma vero. E non fu l’unica decisione assurda di quel periodo".

A cos’altro si riferisce?

"Alla liberazione di Roma, avvenuta in netto ritardo rispetto a ciò che potevamo fare. Mi spiego meglio: noi eravamo sbarcati ad Anzio a gennaio e nel giro di poche settimane saremmo potuti arrivare alla capitale. Il generale americano Lucas, però, decise di non effettuare un’avanzata costante. Aveva timore che ci fossero resistenze tedesche di rilievo e preferì temporeggiare nonostante avesse avuto più di un segnale di ‘via libera’. Ricordo che due soldati americani si incamminarono verso l’entroterra e tornarono all’accampamento con il cartello con la scritta ‘Roma’, come a dire ‘E’ raggiungibile, possiamo proseguire, noi ci siamo arrivati’. Ma niente, Lucas fu irremovibile. Col senno di poi avremmo potuto evitare tanta sofferenza e tanti morti, inclusi quelli delle Fosse Ardeatine, che furono trucidati il 24 marzo, mentre noi eravamo a due passi. E’ una cosa che ancora oggi mi provoca grande malinconia, come anche il fatto che la liberazione di Roma non venga celebrata a dovere".

Quanto è importante ricordare?

"E’ fondamentale. Se non si ricorda siamo condannati a rivivere quei momenti. Raccontare la storia è il mio compito e non c’è giorno della vita che non sia speso da me per questo nobile scopo. Così mi impegno sia sul fronte dei testi, perché è importante che resti qualcosa di scritto, sia su quello della memoria rappresentata dai monumenti. I libri e gli articoli, infatti, alla fine ingialliscono, mentre i monumenti restano. Ne ho già fatti installare nove, ora mi sto battendo per il decimo in piazza Venezia, proprio nel luogo in cui la folla festeggiava l’ingresso in guerra annunciato da Mussolini. Un entusiasmo folle che avrebbe lasciato spazio alla sofferenza e alla tragedia. Ricordo la reazione opposta del popolo inglese nelle ore bollenti dell’ultimatum del primo ministro Chamberlain alla Germania, quando Hitler invase la Polonia. A Londra, dove vivevo, erano tutti paralizzati e muti davanti alla radio. Si sarebbe sentito anche un chiodo cadere. Ricordo tutto. Ed è bene che ricordino tutti".

Gigi Mancini