"Una riforma che non risolve i problemi"

Il presidente della Corte d’Appello Luigi Catelli: "Non si interviene su tempi e risorse, si pensa a valutare l’operato dei magistrati"

Migration

di Marina Verdenelli

La riforma dell’ordinamento giudiziario che si sta discutendo nelle aule parlamentari non convince la Magistratura che teme un cambiamento radicale della figura del magistrato in contrasto con quello che prevede la Costituzione. Per capirne gli effetti il Carlino ha interpellato Luigi Catelli, presidente della Corte di Appello di Ancona e magistrato di grande esperienza.

Dottor Catelli, per i cittadini in concreto cambierà qualcosa? Processi più veloci?

"No, non servirà ad accelerare il processo che è il primo problema della giustizia italiana e l’Europa ce lo rimprovera sempre. In Germania in 120 giorni si ha un giudizio in appello. Da noi non bastano due anni, nel penale, al civile anche di più. C’è un arretrato patologico".

Distribuirà meglio le risorse sul territorio?

"Nemmeno quello, per le risorse c’è il Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza per rilanciare l’economia dopo la pandemia, ndr), tre miliardi di euro già stanziati per il settore".

Quali sono i punti che preoccupano?

"Uno è la separazione delle carriere. La Magistratura sta cercando di dire che gli effetti negativi non riguardano solo il lavoro dei magistrati ma anche i diritti dei cittadini. Intanto non si nasce giudice o pubblico ministero. Il concorso è unico. Spesso la scelta di fare l’uno o l’altro è dettata dai posti liberi che ci sono in quel momento. Prima della riforma in discussione i passaggi per passare da giudice a pm o viceversa erano massimo quattro. La ministra Cartabia ne aveva proposte due che adesso però è diventata una sola ed entro i dieci anni di carriera. Questo cambiamento di chi prima giudica e poi va a giudicare non serve perché se analizziamo i passaggi che negli ultimi 16 anni si sono verificati in Italia sono pochissimi. Da giudice a pm sono due su mille mentre il contrario sono tre su mille. Un solo magistrato ha chiesto di cambiare quattro volte. La separazione delle funzioni già c’è".

Allora cosa si cerca?

"Si vuole allontanare di più il magistrato dal potere giudicante".

L’Anm, associazione nazionale magistrati, dice che i pubblici ministeri si ridurrebbero ad avvocati dell’accusa.

"Il rischio c’è e lo vedo con preoccupazione. Il magistrato è un organo di giustizia e il pm parte da un interesse generale, se l’imputato è innocente non potrà mai chiedere una condanna. L’avvocato invece fa il suo dovere di difesa e anche se lo merita non chiederà la condanna. C’è anche un altro motivo di preoccupazione".

Quale?

"La valutazione della professionalità di giudice e pubblico ministero. L’Anm teme un modello impiegatizio che non è una caratteristica della giurisdizione. Il modello del magistrato è importante. Vogliamo che sia autonomo, indipendente o intimidito? Il meccanismo di professionalità viene fuori da una cosa uscita un po’ a sorpresa nella riforma, un fascicolo performance per cui si andrà a vedere l’esito delle decisioni prese e questo credo ci porti indietro di cinquant’anni".

Perché?

"Perché non per forza la decisione giusta è l’ultima. Invece il criterio previsto dalla riforma, con cui si vuole valutare la professionalità è questo. Il giudice sarà più condizionato se dovrà pensare che c’è una carriera di mezzo quindi potrebbe abbandonare una tesi più ardita da portare avanti nel processo di cui si stanno occupando. Un caso Englaro probabilmente con questa riforma già in atto non si sarebbe fatto. I percorsi rischiano di essere tarpati e quel giudice adotterà un conformismo giurisprudenziale come stella polare".

Non la convince proprio nulla?

"Su un punto non la vedo come l’Anm. L’introduzione della valutazione dell’avvocato sull’operato del magistrato. Il diritto di tribuna noi lo abbiamo dal 2020, possono assistere. Gli avvocati sono parte essenziale della giurisdizione al pari del magistrato, non vanno tenuti fuori".