Marco Cecchinato, l'allenatore è di Ascoli. "Che orgoglio essere al suo fianco"

Simone Vagnozzi, 35enne di Castignano, racconta l’impresa

Marco Cecchinato con Simone Vagnozzi al Roland Garros

epa06790482 Surprising semi finalist Marco Cecchinato of Italy (L) with his coach Simone Vagnozzi during a training session during the French Open tennis tournament at Roland Garros in Paris, France, 07 June 2018. EPA/GUILLAUME HORCAJUELO

Ascoli Piceno, 8 giugno 2018 - Martedì il tennis italiano ha scritto una nuova pagina di storia: il palermitano  Marco Cecchinato, classe ’92, ha battuto il campione Novak Djokovic entrando in semifinale al Roland Garros. Un risultato strabiliante per l’azzurro, ma anche per l’intero movimento che da 40 anni (da Barazzutti, sempre a Parigi) non vedeva un italiano così avanti in un torneo del Grande Slam. Oggi alle 13 la sfida con l’austriaco Thiem (numero 8 al mondo) per entrare nella leggenda, oltre che in finale. Ma se le righe di questa storia sono state calcate dal talento siciliano, a dettarle è stato un ascolano. Sì, perché il coach di Marco viene dal Piceno: Simone Vagnozzi, 35 anni, di Castorano è l’uomo che cura ogni aspetto del 26enne con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Dopo un buon inizio di carriera (fino alla 82ma posizione nel ranking Atp), Cecchinato era sceso, al momento dell’incontro con l’ascolano, al gradino numero 180. Quindi la strepitosa risalita che oggi, all’indomani della vittoria su Nole, lo porta almeno ad essere il 27 al mondo.

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Come si sente ad essere l’artefice e custode della nuova promessa del tennis?

«È un grande orgoglio. Anche se ho sempre pensato che Marco potesse regalare certe soddisfazioni, nessuno si aspettava che arrivasse dove nessuno dei vari Fognini, Seppi e Volandi era mai giunto».

Dove può arrivare?

«Non deve porsi un obiettivo, ma godersi il momento, anche domani (oggi, nda). La sua carriera è tutta da scoprire: può diventare tra i migliori al mondo sulla terra battuta e, crescendo sul cemento, magari entrare nei top ten».

Come è arrivato ad allenarlo?

«Ci ha messo in contatto il mio allenatore storico Massimo Sartori, lo stesso di Seppi. Marco aveva bisogno di un tecnico fisso e io non mi sono fatto sfuggire l’occasione».

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E ad essere coach professionista? Lei è stato anche numero 160.

«Fin da quando giocavo mi è sempre piaciuto e pensavo di essere adatto. Poi nel 2014 decisi di smettere perché non riuscivo ad essere competitivo, specie a livello fisico. Cominciai con Luigi Castelletti (talento classe 2002 di Mozzano, nda) che ancora vedo per fare due scambi. Quindi i 10 mesi con Gianluca Quinzi, fratello di Gianluigi, e a fine 2016 l’inizio con Marco».

Ad Ascoli il tennis oggi è Stefano Travaglia.

«È un altro ragazzo che può regalare emozioni. Ha avuto sfortuna in passato, ma non deve pensarci perché gioca bene a tennis. Sono cresciuto con i suoi genitori, miei maestri alla Cartiera, dove sono stato sei anni prima di andare a Bolzano».

A proposito, cosa manca al movimento ascolano?

«Da noi ci sono sempre stati dei bravi giocatori che, malgrado il talento, sono stati costretti ad emigrare. Le strutture ci sono, credo che nella gestione manchi un pizzico di esperienza che si fanno purtroppo solo in certe realtà».

Potrà essere lei tra qualche anno?

«Vediamo dove ci porta il futuro».