{{IMG_SX}}Bologna, 19 magGIO 2008 - Dopo un anno e quattro mesi di indagini, la Procura di Bologna chiude la prima fase dell'inchiesta sulla tragedia di San Benedetto del Querceto, in provincia di Bologna, dove il 23 dicembre 2006 persero la vita cinque persone. Quel giorno, nella piccola frazione dell'Appennino bolognese a una manciata di chilometri da Monterenzio, una fuga di gas fece esplodere una palazzina di tre piani. Delle 25 persone iscritte sul registro degli indagati per disastro colposo, omicidio plurimo colposo e crollo colposo, ora che le indagini sono terminate, il pm Antonella Scandellari e il procuratore aggiunto Luigi Persico ne ritengono responsabili 20: a loro nei prossimi giorni verra' inviato l'avviso di fine indagini (preludio di una richiesta di rinvio a giudizio), che questa mattina il procuratore capo Enrico Di Nicola ha approvato e controfirmato. Per le altre cinque posizioni, invece, piazza Trento Trieste chiedera' l'archiviazione.


Tra i 20 indagati ci sono tecnici, dirigenti e addetti di pronto intervento di Hera, ma anche delle precedenti societa' Acoser e Seabo. La colpa, infatti, e' la conclusione a cui e' giunta la Procura di Bologna, va spalmata su tutti coloro che ebbero una parte nella realizzazione, manutenzione e riparazione della rete del gas, ma soprattutto su chi, per il ruolo che ricopriva, ne aveva la responsabilita'. Perche' a portare alla tragedia del Querceto e' stata, accusa la Procura alla luce del lavoro dei periti, "una sovrapposizione di concause tutte nel tempo efficienti". A partire dalla progettazione, passando per i campanelli d'allarme della tragedia- le due precedenti rotture del tubo nello stesso punto- fino al comportamento tenuto la mattina dell'esplosione, per piazza Trento Trieste la parola chiave che sta dietro al disastro e': "sottovalutazione".

 

Di "sottovalutazione" a vario titolo sono dunque responsabili, secondo la Procura di Bologna, le 20 persone che riceveranno l'avviso di fine indagine: le loro responsabilita' vanno indietro nel tempo, in alcuni casi a ritroso fino alla gestione della rete del gas sotto Acoser e Seabo, fino all'attuale societa' Hera. Il ragionamento di piazza Trento Trieste e' questo: trattandosi di un reato colposo, dove si discute di responsabilita' in termini di posizioni di garanzia, chi ne deve rispondere puo' essere chiamato in causa anche a distanza di 20 anni. Del resto, che gli inquirenti si muovessero su questa linea era gia' evidente dall'incarico affidato ai periti, il geologo Maurizio Pellegrini e l'esperto di esplosivi Massimo Bardazza, a cui Persico chiese di fare chiarezza sulla rete del gas a partire dalle modalita' di installazione del primissimo impianto, nel lontano 1989.
Tutto, dunque, e' stato passato in rassegna dai periti della Procura, dallo stato degli impianti alla collocazione dei tubi, fino alle caratteristiche geologiche del terreno. Uno studio complesso che porto' a una conclusione durissima: ora e' proprio sulla scia delle tesi dei periti che la Procura chiude l'indagine e si avvicina a chiedere il rinvio a giudizio.
L'esperto di esplosivi Bardazza concluse la sua perizia con una frase che fin da subito suono' come una sentenza: "Chi scrive, che da piu' di 30 anni si occupa di eventi colposi, non ha memoria tra i casi studiati accademicamente di fatti del genere, dove segnali premonitori ed inequivocabili siano stati del tutto ignorati nella piu' completa inqualificabile imperizia e negligenza ed imprudenza".

 

Secondo Bardazza, a San Benedetto, non ci si rese conto dello "stato pericolosissimo in cui versava la condotta", non si tennero monitorati i movimenti del terreno o lo si fece "in maniera pressoche' casuale", ne' si fece nulla per "accertare lo stato delle saldature". Questo nonostante le due precedenti rotture (del '99 e del 2000), che Bardazza defini' "due fatti gravissimi e fortunatissimi", sottovalutati da "quadri tecnici non all'altezza della situazione". Cosi' come non all'altezza della situazione furono i centralinisti del call center tecnico di Hera, "personale impreparato senza alcuna professionalita', che non e' stato in grado da subito di capire la gravita' della situazione creatasi in San Benedetto del Querceto non dando alcun peso alle informazioni puntuali e chiarissime che i cittadini fornivano".
Altrettanto duro fu il giudizio del geologo Pellegrini.
C'erano chiare indicazioni e valutazioni sullo stato del terreno, pericolosamente instabile e potenzialmente sismico, messe nero su bianco dal geologo Giovanni Gurnari gia' nel 1990, fece notare Pellegrini. Ma nessuno si curo' di seguirle nel costruire l'impianto. Anzi, non solo non vennero messi sensori di allarme e valvole di blocco, ma chi realizzo' la rete del gas a San Benedetto si comporto' come se si trattasse di una zona pianeggiante. "Si puo' concludere- scrisse Pellegrini- che a San Benedetto del Querceto e' stata realizzata non tanto una condotta del gas a media pressione entro trincea, strutturalmente adeguata ad attraversare corpi di frana attivi e centri abitativi, ma si e' realizzata una condotta gas a media pressione calata in una fossa, con modalita' che tutt'al piu' potrebbero utilizzarsi in un'area pianeggiante, che presenta problematiche differenti".

 

I cinque indagati che usciranno dall'inchiesta (per i quali la Procura non intravede nessun contributo causale alla tragedia) sono due centralinisti di Hera in servizio la sera precedente alla tragedia e tre titolari di ditte esecutrici, in subappalto, di una parte dei lavori di realizzazione della rete gas. La vigilanza, secondo la Procura, non spettava a loro ma all'azienda titolare dell'appalto. Ora, dopo l'avviso di conclusione di fine indagini (a cui si e' arrivati dopo aver passato in rassegna una marea di carte), in Procura attendono che le difese degli indagati si facciano avanti con memorie difensive e ragionamenti integrativi. Qualche indagato, inoltre, potra' chiedere di essere interrogato, prima che da piazza Trento Trieste partano le richieste di rinvio a giudizio.
Il capo d'imputazione con cui la Procura chiude le indagini e' lungo una decina di pagine: li' e' ricostruita la trafila di responsabilita' che il procuratore aggiunto Persico e il pm Scandellari attribuiscono ai 20 indagati. Per la societa' Hera la figura piu' in alto sotto inchiesta e' il dirigente del settore organizzativo Mazzacurati. Una lista lunghissima, poi, riguarda le parti offese: oltre ai cinque morti, i loro parenti e i feriti, tra cui il parroco don Alfonso Naldi (ma anche la parrocchia e' parte offesa come ente). Gia' il perito Bardazza, nella sua relazione, si chiese se la tragedia di San Benedetto avesse costituito un insegnamento alla societa' Hera e se, dopo l'esplosione, ci si fosse attivati per mettere in sicurezza la valle dell'Idice, tuttora a rischio, scriveva Bardazza. Anche in Procura si chiedono cosa sia stato fatto in questo anno e mezzo.