{{IMG_SX}}Bologna, 20 agosto 2008 - Fino a ieri pomeriggio era in "prognosi riservatissima", ma sta già "benino" secondo i medici la donna marchigiana alla quale sono stati trapiantati domenica scorsa tre organi - il cuore, il fegato e un rene - provenienti dallo stesso donatore.
Per la prima volta in Italia, lo staff cardiochirurgico del Sant’Orsola- Malpighi guidato dal professor Giorgio Arpesella ha portato a termine un intervento che ha solo sei precedenti in vent’anni in America: con Arpesella infatti, in sala operatoria hanno lavorato, dalle due della notte di sabato alle 14 del giorno successivo, il professor Gian Luca Grazi, che ha trapiantato il fegato, e il chirurgo generale Giovanni Fuga, che si è occupato di reimpiantare il rene.

 

Attorno a loro c’erano gli infermieri, gli immunologi i cardiologi e, fuori dalla sala operatoria ma in stretto contatto con i chirurghi, molti altri medici: sono state in tutto una quarantina le persone che, a dispetto delle giornate festive, hanno collaborato senza risparmio di forze e senza guardare l’orologio, per salvare la vita della donna, una quarantenne che era in attesa del trapianto multiplo da settantuno giorni.  E poi, un gruppo meno ampio e sempre composto da chirurghi e medici ha restituito la possibilità di vivere ad un uomo di 63 anni che aspettava un fegato ‘di ricambio’: il suo, infatti, non funzionava più a causa di una patologia che non gli lasciava scampo.
Il professor Grazi ha trapiantato, al termine del maxi-intervento sulla donna marchigiana, il fegato della paziente ad un altro ammalato giunto ormai al limite della possibilità di sopravvivenza che la sua malattia gli concedeva.

 

Il tutto è avvenuto nella più rigorosa discrezione, sia per rispetto dei pazienti e dei loro familiari, sia perché — soprattutto il primo intervento, quello che ha portato al trapianto di tre organi nella stessa persona — era e resta ad altissima complessità. E quindi anche ad alto rischio. "Non vogliamo parlarne — ripetono i chirurghi —: non lo facciamo mai se prima che il paziente trapiantato non è pronto per essere dimesso". La notizia dell’eccezionale intervento però è trapelata, e i medici malvolentieri spiegano che cosa ancora deve andare per il verso giusto, prima di cantare completa vittoria. "Ora - commenta brevemente Arpesella, schivo come sempre - bisogna aspettare, bisogna vedere come si risolveranno i complessi problemi legati al triplice trapianto. La nostra paziente infatti dovrà affrontare varie problematiche che si intersecano: adesso non è più intubata, ma è presto per sciogliere la prognosi". Ricoverata nel reparto di Terapia intensiva diretto da Guido Frascaroli (sempre in cardiochirurgia), la donna è assistita dai familiari, tenuti lontani, ovviamente, da giornalisti e fotografi.

 

Il professor Gian Luca Grazi, un esperto nel trapianto del fegato, spiega, attento a non violare i limiti della privacy, l’eccezionalità dell’operazione: "La donna ricoverata da noi e proveniente da una città marchigiana - dice - era già stata trapiantata di rene nella sua terra d’origine. E’ portatrice di una malattia rara, legata a un gene che provoca la produzione, da parte del fegato, di una proteina chiamata amiloide, la quale va a danneggiare sia il cuore che i reni. Ecco perché abbiamo dovuto ‘cambiare’ il fegato della paziente, cioè la fonte della patologia, ma anche il suo cuore e un rene".Una volta espiantati gli organi da una giovane donatrice (una ragazza del Ferrarese deceduta per un’emorragia cerebrale), Arpesella, Grazi, Fuga e il resto della numerosa èquipe chirurgica, hanno iniziato il trapianto multiplo: prima è stata la volta del cuore, poi è toccato al fegato. Infine è stato trapiantato il rene. Otto, in tutto, i chirurghi al lavoro; tre gli anestesisti affiancati, fra gli altri, dal dottor Giorgio Feliciangeli, un nefrologo specializzato nel settore trapiantologico.

 

Ora la paziente, che può puntare ad avere una vita "pressoché normale", verrà sostenuta da una terapia farmacologica antirigetto "tutta imperniata su cuore e rene, i due principali organi-bersaglio". A completare il quadro che allinea la chirurgia bolognese ai team di eccellenza in campo internazionale, il secondo trapianto: il fegato della donna marchigiana, spiegano i chirurghi, "non è sano, è vero, ma produrrà la proteina amiloide nell’arco di quindici-vent’anni. Per il paziente che altrimenti sarebbe morto questo è un tempo ragionevole e sicuramente un vantaggio. Ecco perché, come già è avvenuto qui e in altre sedi chirurgiche, a lui è stato impiantato l’organo della donna che ha ricevuto cuore, fegato e rene ‘nuovi". Sempre in questi giorni infine, lo staff chirurgico-trapiantologico del policlinino Sant’Orsola Malpighi ha lavorato a pieno ritmo: il 12 agosto, con una tecnica ormai consolidata e che si basa sulla capacità delle cellule epatiche di rigenerarsi, il gruppo di Grazi ha trapiantato le due metà di un fegato a due persone in lista di attesa.