{{IMG_SX}}Bologna, 15 aprile 2009 - CINZIA BANELLI, la ‘compagna So’ che il 19 marzo 2002 partecipò all’omicidio di Marco Biagi, potrà lasciare il carcere. L’ha deciso ieri il Tribunale di sorveglianza di Roma, presieduto dal giudice Albertina Carpitella, che ha concesso gli arresti domiciliari alla Banelli, 45 anni, la prima pentita delle nuove brigate rosse, arrestata nel 2003 e dal dicembre 2006 detenuta nel penitenziario di Sollicciano. Hanno dato parere favorevole sia la procura generale di Roma sia quella di Bologna.

L’EX TERRORISTA è stata condannata a 12 anni di reclusione per il delitto di Massimo D’Antona (ucciso in via Salaria a Roma il 20 maggio 1999) e a 10 anni, 5 mesi e 10 giorni per quello di Biagi. Dopo il suo arresto decise di pentirsi, sgretolando il muro di omertà eretto dai suoi compagni di lotta, perché era incinta e voleva dare un futuro al figlio in arrivo. Il Tribunale di sorveglianza gli ha anche applicato, come prevede la legge, lo sconto di tre anni per l’indulto: "La Banelli — si legge nel provvedimento di sei pagine — ha dimostrato di possedere uno spirito lucido e riflessivo, di essere pienamente consapevole del danno umano e sociale prodotto, di essere definitivamente distaccata dalle scelte eversive. Va riconosciuto il suo fondamentale apporto, che ha significativamente contribuito a smantellare la struttura organizzativa delle br". E ancora: "Si può dire raggiunto l’obiettivo del recupero alla società di una persona che si è dimostrata estremamente pericolosa". Per i giudici, il ravvedimento della Banelli "attiene alla sua sfera interiore". Ne è prova "il processo intentatole dalle br". "La Banelli — concludono — non dichiara, come altri hanno fatto, che sono mutate le condizioni storiche che hanno reso necessaria la lotta armata; al contrario, afferma di essere cambiata lei e di aver capito di aver imperdonabilmente sbagliato".

PER L’OMICIDIO Biagi sono stati condannati all’ergastolo Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma e Diana Blefari Melazzi, mentre Simone Boccaccini è stato condannato a 21 anni. Mario Galesi, l’esecutore materiale, è morto invece il 2 marzo 2003 in uno scontro a fuoco con l’ispettore di polizia Emanuele Petri sul treno Roma-Firenze, ad Arezzo. In quella circostanza fu arrestata Nadia Lioce, la compagna di Galesi. Mentre gli altri membri del commando Br hanno combattuto anche da dietro le sbarre lo Stato che da uomini liberi volevano abbattere, la Banelli, che la sera del 19 marzo partecipò al delitto facendo da staffetta, ha deciso di percorrere un’altra strada.

EX DIPENDENTE ospedaliera a Pisa, finita in manette il 24 ottobre del 2003 in seguito agli sviluppi delle indagini dopo l’arresto della Lioce, maturò piano piano la decisione di pentirsi. Nell’estate 2004, dopo aver partorito il figlio mentre era detenuta, cominciò a collaborare. Decisiva fu la rivelazione delle password che consentirono agli investigatori di decrittare l’archivio segreto delle nuove br. Ora alla Banelli, secondo il programma di protezione concesso dal Viminale, sarà assegnata una nuova identità, le sarà riconosciuto un sussidio e sarà trasferita in una località segreta con il figlio di 5 anni e il marito. La richiesta dei domiciliari era stata avanzata dai suoi avvocati più di un anno fa, anche alla luce del fatto che il ministero l’aveva ammessa al programma di protezione riservato collaboratori di giustizia. Allora però il Tribunale di sorveglianza aveva respinto la richiesta. Per il delitto Biagi Cinzia Banelli fu condannata la prima volta a 15 anni e 4 mesi, sentenza annullata dalla Cassazione perché non le era stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione. Nel marzo del 2008 un nuovo processo d’appello la condannò a 10 anni, 5 mesi e 10 giorni, riconoscendole l’attenuante (ha scontato oltre un quarto della pena).

FU il governo Prodi, due anni fa, a concedere lo status di pentita e il programma di protezione alla Banelli, mentre con il governo Berlusconi aveva respinto per due volte la richiesta. Sulla vicenda non sono mancate le polemiche. Molti ritengono il pentimento non sincero. Per i giudici non è così: "La maternità per Cinzia Banelli — scrive la Corte d’appello di Bologna —ha operato in senso catartico rispetto alla brutalità degli omicidi commessi e giustifica la scelta di pentirsi anche sul piano umano, oltre che giudiziario. Una decisione diretta a offrire a sé stessa e al neonato una prospettiva di vita ben diversa da quella che una militante rivoluzionaria poteva garantire".