Bologna, 22 agosto 2018 - I giocatori stranieri sono costati tanto, quindi bisogna farli giocare. Così ragionano, anche allenatori italiani, non valorizzando il vivaio nostrano. Qui si rivela il valore delle ‘piccole’ squadre che forniscono talenti a squadre ‘grandi’ che hanno l’imperativo di vincere in fretta e non possono aspettare la crescita dei propri atleti. E’ questa la politica di ringiovanimento del nostro calcio? Giulio Corti, Ferrara
Risponde il condirettore de il Resto del Carlino, Beppe Boni
Nel calcio italiano si scontrano due filosofie opposte. C’è chi sostiene che un’apertura totale agli stranieri consenta di migliorare la qualità delle competizioni; dal lato opposto c’è chi antepone a questo l’ottica nazionale, secondo cui un alto numero di stranieri limita spazi e aspettative agli italiani, destinati ad avere meno visibilità e meno possibilità di crescita. E l’esclusione dai Mondiali è un segnale concreto. Non è sbagliato puntare anche ( ma non solo) sugli stranieri perchè le competizioni sono globali e indietro non si torna. Il calcio italiano deve però trovare il giusto equilibrio e non limitare le possibilità ai propri giovani. Arrigo Sacchi lo disse in tempi non sospetti. E’ comprensibile l’ingaggio di grandi nomi capaci di innescare anche logiche di marketing (Ronaldo docet) ma è possibile anche lavorare di più e meglio sui vivai italiani. L’Atalanta è un esempio. beppe.boni@ilcarlino.net
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