Gianfranco Civolani, "Da Pelè al salotto sotto al Palazzo. Perché di lui resterà il mito"

"Un’ironia feroce e surreale che non tollerava ‘melassa’. E guai ad andare via con lui. Guidava davvero da cani"

Gianfranco Civolani

Gianfranco Civolani

Bologna, 5 novembre 2019 - «Ma quanti anni hanno i tuoi due gemelli?». Risposta: «Tre anni». E lui: «Quindi ormai trombano già caro Giorgio!». Questo era il Civ. Il re degli attacchi. La sua capacità era quella di iniziare il pezzo in maniera folgorante e allora io, che stavo cercando disperatamente di trovare un attacco degno di lui, ho scelto questo.

Un botta e risposta che è durato più di vent’anni. Ogni volta lui rispondeva così, qualsiasi fosse l’età dei ragazzi. La faceva seguire da quella risata borbottata, usata all’ombra di quello sguardo da sparviero. Adesso non è facile destreggiarsi fra i Rip, ai «salutami quelli dello scudetto», agli «insegna agli angeli a giocare in paradiso» e ai «se ne va un pezzo di Bologna».

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Scusate: non se ne va un bel corno di niente invece. Perché il Civ con i suoi pezzi, i suoi libri, i suoi commenti, le sue ‘puffarolate’, le sue incazzature, i suoi «questo è il peggior Bologna di sempre», la sua follìa di spendere tutto nel basket femminile, il suo vecchio GT rosso che scassava continuamente, il suo non mangiare se non mele renette che teneva in tasca, il suo stare fisso in piazza Azzarita, il suo continuo dire: «Non si vede perché uno debba andare in vacanza», il suo «Ma perchè dovrei venire a cena con te? Per vederti masticare?», il suo vivere sghembo, di borsello, di ammiccamenti a doppio senso, il suo attacco storico «Ehi Civola! Mi volto. È Pelè», tutte queste cose non se ne vanno proprio per niente. Restano lì, stampate, sui fogli, nei racconti, nel piacere degli aneddoti, nei ricordi. Quindi rimettete il pezzo di Bologna dov’è, perchè non se ne è andato. E se lui sente questa roba, adesso che è inviato chissà dove, si incazza sicuro.

LEGGI ANCHE: La grande passione per il basket - Il  Bologna in lutto: "Un vero fuoriclasse, ci mancherai" Non ne ha voluto mai sapere delle melasse e dei luoghi comuni. Il Civ era secco. A scrivere e a vivere. Una penna fantastica, periodi brevi, frasi singole, molti punti, immagini folgoranti. Un artista, un teatrante della parola da cui ho cercato sempre di farmi ispirare. A livello nazionale ha avuto la metà di quello che meritava. Prima Tuttosport, prima ancora ‘Le Ore’ (il vecchio settimanale con le donnine nude), poi l’arrivo a Stadio.

Lui voleva stare qua. A Bologna. Mondiali sì, Olimpiadi anche, inviato dove volete, ma poi via Rizzoli e riga. Un matto? Sì, un matto. Il Civ era un po’ matto e quindi strepitoso come lo sono i matti. Purtroppo oggi, fra giacche e cravatte e quelli che, come diceva lui: «Giocano a fare i giornalisti», non ce ne sono più.

E infatti guardate in che landa desolata andiamo vivendo. Il Civ era uno che se andavi in trasferta con lui eri fritto. Perchè non mangiava e tu avevi fame. Poi guidava da cani. Una volta sul suo Gt rosso tampona uno avendo torto marcio, blocca la macchina, afferra il volante guardando fisso avanti e fa: «E adesso...come delle belve!». E scende a litigare. Poi lo potevi odiare, non condividerlo, dire che era suonato, che non capiva una minchia di calcio, di basket, di pugilato, ma lasciamo perdere tutte ste balle. Era un grande. Gianluca Farinelli , direttore della Cineteca, mi ha mandato un messaggio: «Dopo la morte del Civ è più chiaro perchè si dice una data dC o aC.». Mi ha fatto sorridere quel “dopo Civ” o “ante Civ”. Ho risposto: «Esatto! Ma sarà sempre aC». Perché non ci sarà mai un dopo Civ.

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