Porto d’armi, dieci anni di attesa per la sentenza

LA LETTERA Risponde il condirettore de il Resto del Carlino, Beppe Boni

Beppe Boni

Beppe Boni

Bologna, 23 agosto 2018 - Nei giorni scorsi ho letto sul Carlino la vicenda di un imprenditore di Brescia a cui è stato negato il porto personale di pistola nonostante abbia subito più incursioni di ladri e per lavoro debba spesso trasportare somme notevoli di denaro. Ciò vuol dire che in Italia ad alcuni si nega la possibilità dell’autodifesa. Non capisco i criteri in base ai quali si concede o si nega il porto d’ami.  Giuliano Bastoni, Reggio Emilia

Risponde il condirettore del Carlino, Beppe Boni

Nel caso specifico il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tribunale amministrativo che aveva dato ragione all’imprenditore dopo che la Prefettura aveva già negato la concessione del porto d’armi. L’imprenditore si sentiva un bersaglio ma secondo il Consiglio di Stato l’appartenenza ad una categoria specifica, in assenza di una legge, non giustifica il possesso di un’arma. Eppure in altri casi simili il prmesso, a discrezione delle singole prefetture, è stato concesso. Quindi è vero che forse serve un alveo legislativo preciso che identifichi l’esigenza della difesa personale. Del resto l’Italia aspetta ancora una legge sulla legittima difesa: ci sono più proposte ma è è ferma in Parlamento. Il vero scandalo è che l’imprenditore di Brescia ha dovuto aspettare dieci anni per avere una sentenza definitiva. Tempi così lunghi in una paese civile sono una vergogna. beppe.boni@ilcarlino.net 

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