Biennale fotografia Mast di Bologna, l’universo del cibo dietro l’obiettivo

Torna l'appuntamento della Fondazione: undici mostre diffuse in dieci luoghi della città

Biennale Mast: una delle foto in mostra

Biennale Mast: una delle foto in mostra

Bologna, 14 ottobre 2021 - Francesco Zanot , il direttore artistico della quinta edizione della Biennale di fotografica dell’industria e del lavoro che si apre oggi, spazza via subito ogni facile equivoco: non parliamo di ricette o di cucina. Perché Food , la kermesse promossa dalla Fondazione Mast e composta da undici esposizioni diffuse in dieci luoghi della città, affronta, attraverso l’opera di maestri di caratura internazionale (tre italiani e otto stranieri), le questioni legate al cibo di ordine filosofico, biologico, storico, scientifico, politico ed economico. Insomma, l’industria alimentare come tema ideologicamente complesso. Illustrato ieri alla presenza del neo-sindaco Lepore ("parlare di industria e lavoro significa parlare di cultura") e del rettore uscente Ubertini, questo appuntamento a ingresso gratuito offre fino al 28 novembre, attraverso 600 immagini, un secolo (dagli anni Venti ai nostri giorni) di storia dell’alimentazione ma anche di storia della fotografia. Una mostra è ospitata al Mast: di Ando Gilardi , figura-cardine ed eclettica del secondo Novecento, si vedono le foto-inchieste realizzate negli anni ‘50 e ‘60 nei campi e nelle fabbriche ma anche una selezione dei tanti materiali raccolti sul tema dell’alimentazione nella sua pionieristica fototeca composta di ben cinquecentomila immagini.

Gli altri italiani sono Maurizio Montagna e Lorenzo Vitturi . Il primo ha realizzato per Foto/Industria 2021 un progetto speciale dedicato al fiume Sesia e alla sua valle che ovviamente pone al centro i tema della pesca e dell’ambiente e che sarà ospitato nella riaperta Collezione universitaria di Zoologia di via Selmi. "Un’occasione – dice il rettore – per portare ancora all’attenzione uno storico museo". Vitturi invece ha concentrato la sua attenzione sul mercato all’aperto di Balogun a Lagos, uno dei più estesi al mondo, in parte fotografandolo e in parte raccogliendo materiali destinati a diventare sculture o nature morte (lo si può vedere a Palazzo Pepoli Campogrande). E’ una vera e propria retrospettiva (la prima in Italia) quella dell’americana Jan Groover a MAMbo: nella Sala delle Ciminiere l’artista propone una serie di oggetti fotografati nella cucina della sua abitazione che da un lato rimandano alla pittura rinascimentale e dall’altro entrano in simbiotico dialogo con le tele di Morandi. All’Esprit Nouveau il giapponese Takashi Homma , grande cultore di Le Corbusier, presenta due progetti solo apparentemente di segno diverso: in M mette a confronto le facciate di una serie di MacDonald’s in giro per il mondo, mentre in Trails mostra le tracce di sangue lasciate da alcuni cervi cacciati sulle montagne nipponiche.

Degli autori ospitati da Genus Bononiae già abbiamo detto: l’opera dello svizzero Hans Finsler è testimoniata a San Giorgio in Poggiale da una serie di miniature di cioccolato e marzapane realizzata nel 1928 mentre a Palazzo Fava di un maestro del reportage come Herbert List si vedono 41 foto scattate nel ‘51 durante la mattanza a Favignana. Sempre a Palazzo Fava i 60 anni di lavoro di Bernard Plossu sono narrati dalle insegne dei dinner del West americano e da nature morte. Uno sperimentatore riconosciuto del linguaggio contemporaneo come Mishka Henner presenta allo Spazio Carbonesi gigantografie realizzate attraverso la combinazione di immagini di Geogle Earth raffiguranti grandi allevamenti bovini, laddove un attento indagatore della società quale Henk Wildschut ‘racconta’ quello che mangiamo ogni giorno attraverso una ricerca sull’industria alimentare. A Palazzo Boncompagni, infine, la palestinese Vivien Sansour pone al centro di una installazione antiche varietà di semi intesi come vere e proprie unità viventi di storia e cultura. La Biennale è accompagnata, da eventi con ingresso gratuito su prenotazione.

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