Cantina Bentivoglio Bologna, torna la leggenda Cables

Il pianista afroamericano presenterà in anteprima ‘Quiet Fire’, inciso nel 2014 proprio durante un concerto in via Mascarella

George Cables suonerà il 12 marzo in quartetto in Cantina Bentivoglio dove presenta il disco inciso live proprio in quella venue e intitolato ‘Quiet Fire’

George Cables suonerà il 12 marzo in quartetto in Cantina Bentivoglio dove presenta il disco inciso live proprio in quella venue e intitolato ‘Quiet Fire’

Bologna, 12 marzo 2019. Modern mainstream ricercato e avvolgente, alchimie vaporose, bellezza e profondità, leggerezza e logica, vocal jazz di primo livello: torna in Cantina Bentivoglio George Andrew Cables, pianista compositore che per quanto ha donato alla storia della musica negli ultimi quarant’anni può fregiarsi dell’aureola di “best musician for musicians”. Lo affiancano Victor Lewis, drummer di ombreggiatura e colori che non teme raffronti con cui suona dagli anni Settanta e il lirico contrabbassista Darryl Hall. Special guest il bolognese Piero Odorici, fine talento del sassofono. Occasione per presentare in anteprima “Quiet Fire - Live in Cantina Bentivoglio”, album registrato dal vivo nel 2014 che verrà distribuito dal magazine Musica Jazz in aprile. La chiacchierata è con Cables, il controcanto finale con Odorici.

George, che cosa ascolteremo stasera?

«Alcuni dei miei classici più richiesti da Traveling Lady, The Dark The Light a For Honey Lulu a Think On Me e Suite for Sweet Rita. Ma il repertorio cambia ogni volta visto che a scegliere sono anche Lewis, Essiet e Piero, con le loro storie e la bravura da primi della classe».

Parte della critica sostiene che Miles Davis e John Coltrane l’avrebbero influenzata più degli altri grandi pianisti di quella “belle époque” del jazz: leggenda o verità?

«Non ho dubbi che sia andata in parte così. Miles, John e i loro ensemble sono stati fondamentali per la mia formazione, ma mi sono nutrito anche dell’ascolto e delle esecuzioni dei virtuosi del mio stesso strumento».

Per quanto riguarda i suoi proverbiali assoli molti mettono in cima alle preferenze “The Cables’ Visions” con Freddie Hubbard e Bobby Hutcherson. Perché?

«Bobby e Freddy sono stati grandi musicisti, suonare con loro era eccitante per il controllo totale dell’energia, per l’interplay straordinario tra piano e le orchestre».

Ha condiviso il palco con Art Blakey, Sonny Rollins, Sarah Vaughan, Dizzy Gillespie e Dexter Gordon: di chi conserva un ricordo più profondo?

«Scelta impossibile. Con ciascuno di loro ho trascorso spicchi di vita fantastici grazie alla musica che ci ha proiettati verso il futuro».

Qualcuno le hai ma chiesto perché Art Pepper la chiamasse Mr. Beautiful?

«Per via del mio fisico affascinante (risatina). La verità è che con Art ho suonato più di ogni altro pianista al mondo. Intessevamo insieme inimmaginabili atmosfere. Lui spesso ripeteva che le cose grandi della musica avessero bisogno di un grande supporto».

Se non avesse incontrato Sonny Rollins negli Anni ‘60, avrebbe lasciato così presto la Grande Mela per la West Coast?

«In California ci sarei andato comunque, perché a San Francisco e Los Angeles circolavano grande effluvi di note, grandi maestri, grandi suggestioni, mentre New York sembrava una città in bianco e nero che soccombeva sotto la grigia cappa della depressione. Ma in seguito il ritorno alla Grande Mela, la mia terra, è stato qualcosa di intensamente gratificante».

Come spiega il feeling con Bologna?

«Col fatto che è una città veramente speciale, tra le più belle d’Europa, con caratteristiche uniche. Ospita gente calda, colta, gentile. Alberto Alberti ne è un bell’esempio. E ha magnifici club, come Cantina Bentivoglio e Bravo Caffè. Non sono in molti in America a conoscerne i tesori. Tra i partner amici metto al primo posto Piero, ma non dimentico Riccardo Zegna, Antonio e Massimo Faraò e mi commuovo ricordando Giulio Capiozzo degli Area, un batterista di cultura musicale ed energia straordinarie». 

I dischi che vorrebbe portarsi dietro per l’eternità?

«Diverse centinaia, come Kind of blue di Davis, Round Midnight di Monk, Love Supreme di Coltrane, Free Jazz di Ornette Coleman. E L’Altro lato di Round Midnight di Dexter Gordon».

Parafrasando il titolo di un album realizzato con Joe Henderson, chi nella sua vita è stato parte della soluzione e chi parte del problema?

«Soluzione la maggior parte di quelli che hanno condiviso gioie e problemi di ogni giorno. Ognuno di noi ha avuto problemi, i miei genitori mi hanno aiutato fin dove hanno potuto, con non poche difficoltà. Sono felice dell’approdo finale».

Le interpretazioni che l’hanno resa felice?

«Ne cito un paio che fanno parte di un live di Bollate con Piero e Victor Lewis: “Looking for the light” e “Mr baggy pants” in ricordo di mio padre. Senza dimenticare “Senorita de Aranjuez”».

Piero, quando ha conosciuto Cables?

«Sul finire degli Anni 80 durante un suo concerto col trio al Circolo La Mela a Ferrara salii sul palco e suonai “Think on me”, uno dei suoi must. Poi lo rividi a New York a fine ‘90, al Village Vanguarde. In quell’occasione gli chiesi se potevamo fare qualcosa insieme. Tornai nel 2001 per una mini-tournée che toccò Boston e Philadelphia assieme a Bill Halder alla batteria e Chuco Martinez al contrabbasso».

Quanti dischi avete inciso assieme?

«Due, con questa formazione più Essiet Okon Essiet uno dei migliori bassisti di New York, con cui nel 2005 registrammo a Milano “George Cables Quartet live in Bollate”. Il secondo, appunto “Quiet Fire Live in Cantina Bentivoglio” durante il festival jazz del 2014».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro