Lenny Kravitz fa il tutto esaurito all'Unipol

Il rocker questa sera inconcerto: in scaletta brani dell’ultimo album e grandi hit

Lenny Kravitz stasera all’Unipol Arena, per un concerto da tutto esaurito

Lenny Kravitz stasera all’Unipol Arena, per un concerto da tutto esaurito

Casalecchio di reno (Bologna), 12 maggio 2019 – Perfino Viagogo ieri ha dovuto alzare le mani e annunciare sul suo sito che i biglietti dello show che deposita stasera Lenny Kravitz nel ventre incandescente dell’Unipol Arena erano irreperibili. Per i ritardatari, insomma, sarà dura assistere allo spettacolo anche pagando il prezioso ingresso a peso d’oro. Ed è un bene che sia così. Perché l’eroe di ‘Are you gonna go my way’ ama sentire il respiro del pubblico sul collo ed è quella la condizione che lo spinge a dare il meglio. Preceduto dalla soulness della modella americano-nigeriana Annahstasia Enuke, deflagrata in radio lo scorso autunno con l’ipnotica ‘Summer Madness’, Kravitz arriva a Casalecchio con la spinta dell’ultimo album ‘Raise Vibration’ – undicesimo capitolo di una discografia varata giusto trent’anni fa – di cui in concerto ripropone tre-quattro momenti. Che metta mano a sue hit clamorose come ‘Fly Away’ ed ‘Again’ o a cover doc quali ‘American Woman’ dei Guess Who e ‘Get Up Stand Up’ dei Wailers di Bob Marley, la sua è un’esplosione di energia figlia di una grande scuola.

Leonard ‘Lenny’ tiene ancora, infatti, incorniciata nella camera da letto della sua casa di Parigi la foto di un concerto dei Jackson 5 al Madison Square Garden. Quello che gli ha cambiato la vita. Era il 16 luglio 1971 e a scattarla fu suo padre, Sy Kravitz. «Avevo solo sette anni, ma di quella sera mi ricordo ogni momento» assicura il cantante ricordando l’imprinting lasciatogli dall’allora dodicenne Michael Jackson (di cui ha usato la voce campionata in uno dei suoi ultimi pezzi, Low). «Quello show mi fece desiderare di fare per la prima volta quel che faccio».

Con i dischi Lenny ha avuto alti e bassi, ma l’attitudine rimane una garanzia come dimostra il fatto di aver vinto tra il 1999 e il 2002 quattro Grammy consecutivi per la miglior Rock Vocal Performance maschile. Lo conferma pur in Raise Vibration anche se con una punta di decisione in meno che nel validissimo predecessore Strut.

Figlio di un ebreo statunitense di origini ucraine che faceva il produttore televisivo per la Nbc e di un’attrice delle Bahamas, Roxie Roker, divenuta famosa grazie alla sitcom ‘I Jeffersons’, Kravitz non è mai stato un uomo in cerca di riscatto. «Ho avuto l’opportunità di lavorare con così tanti dei miei eroi» spiega citando sciorinando i nomi di Mick Jagger, David Bowie, Al Green, Prince. «Il mio percorso artistico è stato influenzato da così tante personalità straordinarie che mi hanno insegnato tutto quel che so».

All’attività di musicista Kravitz affianca quella di designer (con clienti che si chiamano Swarovski o Morgan Hotels) e a breve, sembra, di filmmaker. Il musicista racconta, infatti, di aver già iniziato a lavorare sul successore di ‘Raise Vibration’ con la possibilità di utilizzarlo come colonna sonora del suo primo film. «L’idea della storia ce l’ho in testa, ma devo lavorarci con uno sceneggiatore» anticipa. «Pure il mio amico Harvey Keitel mi suggerisce da tempo di dirigere un film. E se lo dice lui…».

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