I Van Der Graaf Generator al teatro Celebrazioni di Bologna

La band di Peter Hammill porta il suo pop psichedelico dell’Inghilterra anni ‘60 e ‘70

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Bologna, 5 maggio 2022 - Era l’Inghilterra lisergica che aveva scoperto il blues e la psichedelica, il pacifismo e la frenesia di notti senza fine, quella raccontata in film come Blow Up di Michelangelo Antonioni , a fare da sfondo a una delle più visionarie esperienze del pop moderno, quella dei Van Der Graaf Generator . Il gruppo, che si formò a Manchester nella seconda metà degli anni 60 ed è ancora in piena attività, arriva questa sera a Bologna, al Teatro delle Celebrazioni (via Saragozza 234, ore 21), per mettere in scena un suono che, allora come adesso, mescolava linguaggi, dalla pura ricerca al jazz, dai toni acidi al rock più duro. Guidati da Peter Hammill, i Van Der Graaf avevano, come scrisse un giornale dell’epoca, "una visione drammatica e oscura della realtà". Un forma espressiva che oggi verrebbe definita dark, e che, dal loro esordio The Aerosol Grey Machine del 1968, si è sviluppata, sempre più introversa, con atmosfere musicali creata con l’uso di strumenti come organo, flauto, sassofono, pianoforti modificati e poche chitarre pop.

Merito della loro fama è sicuramente la voce del leader, Peter Hammill, che ha parallelamente sviluppato anche una importante carriera solista (Premio Tenco nel 2004), cantante di radicale intimismo, autore di testi che celebrano i misteri nascosti dell’animo umano, costruendo universi fantastici da fiaba nebbiosa. La loro musica fa parte di quella ondata nata tra la fine degli anni ‘60 e i primi ‘70, definita progressive, una maniera di superare la normalità del rock per lasciarsi influenzare dal jazz, dalla classica, dalla contemporanea. Il gruppo è riuscito perfettamente a mescolare fonti sonore e citazioni diverse, filtrando le proprie partiture attraverso l’elettronica e giocando con le sovra incisioni, tra i primi a considerare lo studio di registrazione come parte attiva nella produzione di un disco. Tantissimi gli album pubblicati, quello della consacrazione internazionale è Pawn Hearts del 1972, che contiene, come avveniva spesso in quelli anni, una lunga composizione, una suite, The Plague of the Lighthouse Keeper, che è considerata il loro capolavoro.

Una rappresentazione teatrale, un testo drammatico a tratti declamato, sempre in bilico tra le tentazioni auto indulgenti dell’angoscia e l’orizzonte del romanticismo, tra caduta e ascesa. Un vortice di timbri vocali che cambiano in continuazione, sottolineati da una musica libera da qualsiasi riferimento possibile. La loro fama è allora all’apice. Poi, tanti altri lavori, scioglimenti e ritorni, album dal vivo e tour, come questo che porta i Van Der Graaf Generator nuovamente in Italia, a Bologna, con la formazione originale degli anni dei primi spettacoli a Manchester, con Peter Hammill, voce e pianoforte, Guy Evans, batteria e Hugh Banton, tastiere, basso elettrico, chitarra.

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