Bologna, 16 giugno 2023 – Non è un film d’inchiesta Luci per Ustica di Luciano Manuzzi, è invece un documentario che aggiunge il racconto inedito – per un lavoro audiovisivo sulla vicenda – di come l’arte di Boltanski abbia dato ai famigliari delle vittime e a un mondo ferito, un’occasione in più di elaborare il lutto, in un atto di condivisione umana continuo. Sarà mostrato alle 19,30 al Lumière nell’ambito del Biografilm (il 27 giugno in occasione dell’anniversario della strage, sarà sulla Rai), alla presenza del regista, di Fabrizio Zappi, direttore Rai Documentari, il sindaco Matteo Lepore, Daria Bonfietti e il giornalista Luigi Riva.
Manuzzi, il suo film documentario è pensato anche come un documento che racconta e rimane a testimoniare la tragedica vicenda e i suoi sviluppi?
"Il documentario mi è stato chiesto per ricordare Boltanski e il Museo della Memoria di Bologna e sin dall’inizio non volevo fare un’inchiesta. Di inchieste ne sono state fatte davvero tante, alcune bellissime, era inutile tornare su questo linguaggio. Volevo produrre una testimonianza che si avvalesse di più linguaggi, come se si mischiassero le carte e si desse spazio anche alla fiction, alla grafica, alle interviste che ricordano gli accadimenti. Ecco, per me la poesia di Mariangela Gualtieri che chiude il film è il punto altissimo, perché al linguaggio poetico è consegnato il vero sentimento della testimonianza".
Un linguaggio poetico incisivo.
"Sì, che esprime quello sconcerto, quella rabbia e anche quello sconforto che ha attraversato la maggior parte di noi in tutti questi anni in cui, tra depistaggi, non si è mai arrivati attraverso anche gli organi competenti, a sapere chi è stato. Sappiamo come sono andate le cose, ma non sappiamo chi è stato. È sconvolgente".
Nel film parlano anche giornalisti che alle inchieste hanno lavorato, ma che hanno incontrato il famoso muro di gomma. È viva in loro, come in tutti gli altri, da Romano Prodi a Carlo Lucarelli, dall’ex sindaco Vitali, un’incredulità mista a amarezza.
"Sì, uno sconcerto collettivo permeato da un linguaggio visivo su più livelli. Non avendo da dichiarare una verità che non c’è, ho fatto altro, ho messo insieme le voci che danno adito a un sentimento che è poi l’oggetto vivo del documentario".
Colpisce l’intervento del cardinale Matteo Zuppi, che è un abbraccio di tutti i discorsi e una chiosa piena di conforto.
"Un’integrazione tra tutti i discorsi. Il suo intervento c’è stato grazie a Gigi Riva, che da tempo lo conosceva".