Enrico Rava a Bologna. "Torno nella casa del jazz"

Il concerto in piazza Verdi

Enrico Rava in concerto a Bologna (Foto Zani)

Enrico Rava in concerto a Bologna (Foto Zani)

Bologna, 19 luglio 2019 - Enrico Rava, New Quartet e vecchi ricordi. «Bologna per noi che arrivavamo da Torino o da Milano a metà anni Sessanta era una specie di nord a colori oltre che la città italiana del jazz grazie anche ad Alberto Alberti che con Cicci Foresti s’era inventato il festival più interessante d’Italia insieme a quello di Sanremo». L’inquietudine si addice a un trombettista di ricerca qual è Rava (80 anni il 20 agosto), non ne gualcisce i ricordi: nostalgie velate per certe storie appena sbiadite dal tempo. Occasione di ritesserle il concerto per il Lyrico Festival di stasera in Piazza Verdi con il suo celebre New Quartet (ore 21.30).

Rava, né in teatro né in club patinati, ma in una piazza storica, densa d’eventi, di scontri anche aspri,: un palco di suo gusto?

«Sì che lo è: tre giorni fa ho suonato in piazza a Varsavia e la sera dopo alla Fenice di Venezia, fare concerti all’aperto a volte è davvero speciale, sempre che non ci siano cani che latrano e bambini che urlano. A Bologna tre anni fa ho suonato per La Strada del Jazz in via Rizzoli. In piazza se riesci a raggiungere anche solo una piccola minoranza che segue il concerto e contagia gli altri è di grande soddisfazione».

Che repertorio sfoglierete?

«Per il 90 per cento di brani miei, con Francesco Diodati alla chitarra, Gabriele Evangelista al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria. In fondo è un po’ come suonare in un anfiteatro, un semicerchio che ti circonda, non erano scemi i Greci e i Romani. L’Olimpico di Vicenza, il più antico teatro chiuso del mondo, fatto ad anfiteatro, vanta un suono che i contenitori di oggi nemmeno si sognano».

Piacerà la sua definizione di ‘Bologna, un nord a colori’…

«Motivi ce n’è, a iosa. Tanto per cominciare ero presente nel ‘64 all’edizione inaugurale del Bologna Jazz Festival, primo in Italia in cui venisse dato spazio alla nuova musica grazie a una schiera di stelle da far invidia a qualsiasi rassegna successiva: sto parlando di Ted Curson e Don Cherry, Gato Barbieri e Mal Waldron. Suonavo in quartetto con Franco D’Andrea, Gigi Munari e Amedeo Tommasi, non so se mi spiego».

Situazioni speciali, non casuali…

«Tutt’altro, atmosfere vivibili grazie alla passione di Alberto Alberti che aveva i dischi Blue Note prima che arrivassero nei negozi. E poi c’era quella cantina del ‘dentista swing’ Lo Bianco in via Rizzoli che ospitava jam session con le grandi star del pianeta. Un altro ricordo bellissimo fu l’ascolto del gruppo di Mingus al palasport e la successiva jam session, appunto nella cave del dentista».

Se le ricorderà le mitiche bande dixieland…

«Eccome, piene di colori e di talento, con Dalla, Avati e tanti altri, dirette da Giardina. In sintonia con la città di allora. Che ora è cambiata, s’è ‘normalizzata’, ma continua ad avere cose speciali. Mi fa piacere venirci un paio di volte l’anno. C’è un’aria bella, che arricchisce».

Orgoglioso del fatto di aver attinto l’eden del jazz da autodidatta?

«Refrattario agli studi regolari, ho ascoltato moltissima musica, più di quanto capiti a un musicologo. E ho una maxi-biblioteca che certo non fa metraggio. Credo sia bastato per non rimanere un’ameba».

Novità in agenda?

«Sto ultimando un disco che uscirà a fine agosto per l’ECM, si chiama Roma, registrato durante un live romano con Joe Lovano in quintetto. A novembre con lo stesso gruppo (Nasheet Waits sostituirà Gerald Clever non disponibile) suoneremo al Lincoln Center di New York».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro