ROMA 24 giugno 2010 —«NON ci può essere ragione di Stato o malinteso senso del dovere che siano più forti della voce delle vittime. Anzi, la cosa forse più sconvolgente delle vicende legate alla strage di Ustica è come non ci sia nessun servitore dello Stato che senta il dovere di dire qualcosa». Su questo il pm Erminio Amelio, che con Maria Monteleone sta lavorando alla nuova inchiesta sulla strage di Ustica, è netto. Il magistrato è prudente sulle prospettive dell’indagine, le cui ragioni pure difende.
 

L’ex presidente Cossiga è tornato ad accusare la Francia e il portavoce del ministero degli Esteri transalpino ora ha promesso collaborazione. Crede che finalmente si stia muovendo qualcosa?
«E’ opportuno che io non faccia previsioni. Solo la Francia ci potrà dire se la tesi avanzata da Cossiga è vera. Vogliono collaborare? Bene. Noi abbiamo già inviato una richiesta di rogatoria sia alla Francia sia agli Usa. Vedremo le risposte. Punto».
 

Dopo trent’anni ha una realistica prospettiva di successo indagare per cercare la verità?
«Ha un senso e ha una prospettiva. Magari è possibile dire adesso quello che non si poteva rivelare 30 anni fa. Per questo lancio l’appello: chi sa, e c’è chi sa, parli. Sono convinto che di fronte alla verità e al pentimento, i parenti potrebbero anche perdonare».
 

Alla luce delle indagini svolte, cosa ci racconta il relitto? Causa interna o esterna?
«Le indagini svolte finora fanno escludere l’evento interno, cioè la bomba e mi fanno ritenere che ci sono evidenze a favore dell’evento esterno: cioè o il missile o la “quasi collisione” come fu ipotizzata dai professor Casarosa e Held».
 

Qual è quindi lo scenario nel quale si inserisce il Dc9?
«E’ uno scenario radaristico complesso, nel quale si evidenziano molte tracce non identificate, alcune delle quali certamente riconducibili ad aerei militari come l’Awacs, l’aereo radar che incrocia nell’Alto Tirreno e che per gli strumenti a bordo, ha certamente visto tutto, ma che nessun paese ha riconosciuto come proprio. Eppure di qualcuno sarà stato...».
 

E poi ci sono l’aereo o gli aerei presunti aggressori, che vengono da Occidente.
«Certamente. Si tratta presumibilmente di due aerei che volano parallelamente al Dc9. Poi virano e ne intersecano la rotta esattamente nel punto in cui l’aereo civile scompare dai radar. Abbiamo tre “battute radar”. Disegnano uno scenario compatibile sia con una manovra d’attacco con lancio di un missile che con una “quasi collisione”».
 

Dato per scontato che nessuno volesse intenzionalmente abbattere il Dc9, quale è l’ipotesi più realistica?
«Se si pensa al missile, l’ipotesi è che fosse indirizzato all’aereo che si nascondeva sotto il Dc9. Se si propende invece per la “quasi collisione” la manovra spinge l’aereo che sta sotto il Dc9 a fuggire a tutta velocità, creando quello in aeronautica viene chiamato “vortice di estremità”, capace di causare danni come la frattura riscontrata al “tip”, il vertice dell’ala sinistra del Dc9, una frattura dall’alto verso il basso, che non è spiegabile nè con il missile nè con la bomba».
 

L’aereo sotto il Dc9 era il Mig libico poi ritrovato sulla Sila?
«E’ un’ipotesi che ho sostenuto nella requisitoria. Non lo possiamo sapere con certezza. E’ la più plausibile, ma su questo al momento non abbiamo riscontri probatori».