faLORO non hanno nemmeno una tomba su cui piangere. Peggio. I loro congiunti, dichiarati ufficialmente morti, sono semplicemente svaniti nel nulla mentre viaggiavano su un aereo che li portava in vacanza nell’arcipelago venezuelano di Los Roques. Accadde il 4 gennaio del 2008 e, trascorsi tre anni, non un passo avanti è stato fatto dalla sera della scomparsa per capire che fine abbia fatto quel piccolo aereo da turismo con 14 persone a bordo, otto delle quali italiane, fra cui le amiche bolognesi Annalisa Montanari e Rita Calanni Rindina.
I PARENTI dei dispersi di Los Roques coltivano una sola speranza: quella di sapere la verità, visto che il relitto non è mai stato trovato e l’unico corpo restituito dal mare è quello straziato del copilota, a trecento chilometri dal luogo del presunto inabissamento. La ripresa delle ricerche in mare con una nuova e più sofisticata tecnologia rispetto a quelle usate in precedenza era stata annunciata nello scorso aprile ma una serie di intoppi, meteorologici e burocratici, ha bloccato tutto. E, di qua dall’oceano, nessuna commemorazione, nessun cippo, nessuna lapide su cui deporre un fiore. Debora Napoli, sorella della dispersa Fabiola, martedì, nel terzo anniversario della tragedia, ha incontrato l’ammiraglio Giovanni Vitaloni, consulente del ministero degli Esteri e di Palazzo Chigi incaricato di seguire la vicenda, e il comandante Mario Pica, tecnico di fiducia delle famiglie. «Abbiamo fatto il punto — spiega la donna —: c’è effettivamente un impasse burocratico che non si riesce a superare. Il problema sta nel fatto che l’Italia, che ha stanziato i fondi per i sondaggi, ha posto un vincolo nell’accordo con il Venezuela: il denaro sarà reso disponibile solo alla fine delle ricerche dopo l’ok della commissione italiana. Questa condizione non è gradita da parte venezuelana ma risponde a condizioni ineludibili per la nostra legislazione. E’ per questo che mi appello al ministro Frattini, affinché per via diplomatica riesca a convincere il governo venezuelano a mettere da parte le proprie perplessità».
DI FATTO, da due anni nessuno cerca più il relitto. Nell’aprile del 2008 i sondaggi vennero sospesi dopo che un sonar aveva individuato su un fondale di 300 metri, a meno di mezzo chilometro dalla barriera sud dell’arcipelago, quello che era stato indicato con certezza come il velivolo sparito. Il consulente dei familiari, viste le immagini, disse che non poteva essere il Let 410 sparito: un’affermazione che, dopo mesi, venne confermata da una costosa e spettacolare, quanto inutile, operazione di recupero. Ma serve davvero cercare ancora? «Sì — insiste Debora Napoli — perché questa ulteriore campagna può suffragare l’ipotesi dell’incidente, che io non escludo: se l’aereo è caduto si deve trovare, altrimenti si dovranno seguire altre piste. Credo sia nostro diritto riportare i resti dei nostri cari in Italia». Il ritorno in mare sarebbe risolutivo, poiché affidato alla più avanzata tecnologia disponibile: l’attrezzatura è fornita dalla statunitense C&C Technologies, leader mondiale del settore. Ma è ancora tutto fermo, congelato al 4 gennaio del 2008.