Bologna, 28 settembre 2011 - ELEGANTE gentile, con un tono di voce affabile, che non si alza mai, venato da un forte accento tedesco. Armin Mueller, amministratore delegato della Bruno Magli, non ha niente che ricorda Gordon Gekko, lo squalo della finanza del film di Oliver Stone, Wall Street. E’ un esperto in ristrutturazioni aziendali. Preso dallo stato di necessità, non gli riesce di esprimere neanche un po’ di rammarico per la sorte dei dipendenti dell’azienda, che, sulla base della strategia che ha impostato proprio lui, rischiano di restare senza lavoro entro la fine dell’anno.
 

Dottor Mueller, partiamo dalla situazione finanziaria. Quanti debiti ha la Bruno Magli?
«Molti, sia verso le banche che verso la holding».
 

La holding sarebbero i proprietari?
«Sì, il fondo Fortelus».

Quindi la Bruno Magli è indebitata verso i suoi proprietari?
«Anche con le banche»
 

Secondo il bilancio, al 31 dicembre 2010 l’esposizione finanziaria dell’azienda verso le banche era di 3 milioni e seicentomila euro rispetto a un fatturato di 45 milioni di euro. Praticamente, niente.
«Sì, ma Fortelus ha speso soldi per acquisire l’azienda e ne ha messi continuamente negli ultimi quattro anni per ripianare le perdite».
 

Tutto sta in come si intende il finanziamento. Se era una ricapitalizzazione e adesso i conti sono buoni, perché dismettere la produzione?
«I conti non vanno bene».
 

Nel 2010 il margine operativo lordo è tornato positivo dopo dieci anni di perdite.
«Le cose sono più complicate di così. Quando sono arrivato (in giugno ndr) ho studiato i conti. Le perdite riguardavano diversi settori e non c’era una strategia chiara sul futuro. Le sue cifre sono corrette ma il punto di pareggio sul margine operativo lordo non basta a ripianare i debiti con le banche e la holding».
 

In questo caso i creditori e i debitori sono le stesse persone.
«Il fatto è che questo modello di business non funziona. Un’azienda può attraversare una crisi di due, tre anni, poi ristrutturarsi e crescere. Ma nel caso della Bruno Magli non ci sono i profitti. Io ho grande esperienza in ristrutturazioni e so che è importante farle in tempi brevi per poi ripartire. Non si può rimanere in uno stato di ristrutturazione permanente. L’obiettivo deve essere far crescere il business»
 

La Bruno Magli non perde più ma non cresce abbastanza.
«La holding ogni anno copre le perdite col patrimonio. Così l’azienda non è neanche vendibile, perché non guadagna. L’investimento di Fortelus è più grande del valore del business, che oggi come oggi è soprattutto il marchio».
 

Infatti volete separare produzione e logistica dal marchio e dalla rete commerciale e trasferirvi a Milano.
«Il nostro marketing è già a Milano. Abbiamo avuto un direttore creativo part time e il direttore commerciale, fino al 2010 stava a Milano. Il centro della moda è Milano e un’azienda come la nostra deve stare nel luogo più adatto a svilupparsi».
 

Abbandonando il territorio in cui è nata e ha prosperato per decenni.
«Ci serve un ufficio commerciale e nuovi innesti nel retail (la rete di negozi in franchising, ndr). Sono competenze che si trovano a Milano. Per quanto riguarda la produzione, già oggi il cento per cento delle scarpe da uomo, delle borse e della piccola pelletteria, e il trenta per cento delle scarpe da donna sono realizzate fuori dall’azienda».
 

Quindi, meglio un taglio netto?
«Dobbiamo riposizionare il marchio. Negli ultimi anni, visti i conti, non abbiamo fatto marketing, né supporto al franchising, né sviluppato eventi utili al marchio. E’ chiaro che dobbiamo cambiare modello di business».
 

Per diventare cosa?
«Un’azienda di brand business. E’ importante accelerare questo processo, perché abbiamo un grande potenziale sia su mercati emergenti come quelli asiatici che su mercati maturi come Londra, Parigi, dove attualmente non abbiamo negozi. Ma dobbiamo aprirli».
 

La strategia determina tempi e modi della ristrutturazione. «Finora la produzione ha determinato i processi aziendali e stabilito le competenze necessarie a sviluppare l’azienda. Noi vogliamo che sia il mercato a imporre le scelte che servono alla crescita, non le rigidità legate alla produzione».
La conversazione viene interrotta dal rullo dei tamburi dei dipendenti che protestano in cortile. Mueller si alza per congedarsi. Intorno a noi, mobili nudi, cartoni vuoti e modelli di scarpe abbandonati. La faccia e i modi di Mueller rimangono imperturbabili, ma la stretta di mano è una morsa d’acciaio.