Bologna, 30 ottobre 2011 - Un istituto religioso cessa di essere un istituto religioso se vi abitano delle suore di clausura? È quanto si arguisce dall’atto con cui il Comune di Bologna, Ufficio Tarsu, ha intimato ai monasteri di clausura il pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti, mettendo insieme due tariffe diverse: una come istituto religioso e un’altra come «superficie destinata alla vita quotidiana dei religiosi». È così che i sei conventi di clausura di Bologna — una città che una volta di conventi ne ospitava ben 40 — si sono visti recapitare in tempi diversi, a partire dall’anno scorso, cartelle per decine di migliaia di euro (fino a 200mila, poi rimodulate) fatte di sanzioni e arretrati per errato od omesso pagamento della Tarsu.

Il Monastero del Corpus Domini, Santuario della patrona di Bologna, Santa Caterina de’ Vigri, deve trovare il modo di racimolare 92mila euro, le Agostiniane di via Santa Rita hanno già saldato un conto di 48mila euro, le Visitandine di via Mazzini si trovano davanti a una cartella di 87mila euro, e via conteggiando anche per le Carmelitane di via Siepelunga, le Cappuccine di Via Saragozza e le Ancelle di Via Masi. Questo solo per il pregresso. Da quest’anno, e ogni anno, devono pagare tariffe annuali anche decuplicate. Tanto per fare un esempio, le clarisse di Santa Caterina (7 persone), che già pagavano 1.300 euro all’anno, adesso ne dovranno pagare 11.000.
 

Il calcolo della Tarsu si basa sulla destinazione d’uso e la dimensione dei locali, secondo tariffe suddivise in 19 classi diverse. La tariffa più bassa è quella attribuita alle abitazioni private: 2,16 euro a metro quadrato annui. Di poco superiore la tassazione riservata alla prima classe, a cui appartengono «Associazioni, circoli e Istituzioni: Culturali, Politiche, Sindacali, Sportive, Tecnico-Economiche, Enti di Assistenza, Enti Pubblici non economici, Istituti Religiosi, Scuole, Biblioteche e Musei», che pagano 2,32 euro l’anno. In questa categoria rientrano, con ogni evidenza, i monasteri di clausura, istituti religiosi per eccellenza. Ma per il Comune di Bologna li si può considerare istituti religiosi solo per la parte disabitata.
 

La parte invece attribuita ad abitazione delle suore (mediamente da 5 a 20 al massimo) per il Comune non è istituto religioso, ma appartiene alla categoria degli «Alberghi senza ristorante, Pensioni, Locande, Affittacamere, Convitti, Collegi, Caserme, Carceri», ovvero alla classe 6. Ciò significa considerare la capacità di produzione di rifiuti delle suore di clausura, che vestono sempre lo stesso abito, acquistano solo alimentari e fanno voto di povertà, più alta di quella di un campeggio (classe 4) di un’autorimessa (classe 3), di un teatro (classe 2), o di un autosalone (classe 5). La loro tariffa: 5 euro tondi tondi, moltiplicati per i mq della loro «vita quotidiana», convenzionalmente calcolati in 50 metri quadri per ogni suora.
 

Ma un monastero, «superficie destinata alla vita quotidiana dei religiosi», sarà pur tuttavia l’abitazione delle suore? E in tal caso andrà pure considerata abitazione privata, dunque a tariffa ancora più bassa che per gli istituti religiosi? Neanche per sogno. Per il Comune, le suore rispetto al loro monastero si trovano in sosta provvisoria, come avviene per chi trascorre un periodo di tempo in albergo, convitto, collegio o caserma. Per questo pagano la Tarsu più del doppio di un qualsiasi altro cittadino privato. Volendo, in comode rate.
L’attenzione del Comune ai conventi di clausura non avviene sulla scia della stretta governativa sui trasferimenti di risorse agli enti locali ma era iniziato già nel 2006, quando operatori inviati dall’Ufficio Tarsu erano entrati nei locali delle suore clarisse, che già pagavano 1300 euro all’anno, misurando ogni centimetro della clausura, da loro definita alla stregua di una caserma.
 

Un caso a parte è quello delle Agostiniane, che per aver firmato senza fiatare il foglio dell’accertamento iniziale si erano auto-escluse dalla possibilità di fare ricorso alcuno. Esse hanno trovato però un orecchio sensibile in una figura che non ci saremmo aspettati. Risulta infatti da una nota di rettifica in auto-tutela inviata loro dal Comune che l’intervento di Giorgio Napolitano, in risposta al loro appello alla Presidenza della Repubblica, avrebbe sortito una clemenza fiscale. Sì, perché il Comune aveva conteggiato loro tutto il monastero come «Albergo senza ristorante…» ecc. Invece così hanno potuto anche loro pagare la tariffa alberghiera solo per la parte da loro abitata. A vita.