Bologna, 29 marzo 2012 - PIÙ CHE VALLATE, stanno diventando gole, forre soggette all’erosione della crisi che nasconde sempre più ogni raggio di ripresa. Già, perchè se la Motor valley, orgoglio e marchio di questa Regione, s’infratta e piange, non è che l’altro simbolo, la Food valley, cioè l’indiscusso patrimonio alimentare e gastronomico dell’Emilia Romagna, se la passi tanto meglio.
Il quadro arriva dai dati Infocamere e da un’indagine di Swg su 201 soci delle 11 federazioni territoriali di Confesercenti regionale nei settori del commercio, dei pubblici esercizi e del turismo.
In particolare, è la ristorazione quella che manda i segnali peggiori. Se nel 2010 il saldo negativo (fra chiusure di vecchie attività e aperture di nuove) era stato di 500 esercizi, a novembre 2011 il bilancio negativo toccava già le mille unità. Un dato che emerge sottraendo alle attività cessate (2.151) quelle avviate ex novo, 1254. In pratica, in meno di due anni l’Emilia Romagna ha tirato 1500 croci su grandi e piccoli ristoranti a fronte di un ‘patrimonio’ che viaggia sui 12mila esercizi.

LA PARTE del leone la fa la provincia di Bologna con 2.305 ristoranti attivi, poi vengono quelle di Modena (1.941), seguite da quelle di Rimini (1.363), di Reggio Emilia (1.260), di Ravenna (1.236), di Forlì-Cesena (1.162), di Parma (1.084), di Ferrara (991) e di Piacenza (753). Numeri ancora robusti, ma certo, di questo passo, i morsi della fame si faranno sentire. Le attività di ristorazione attive, secondo i registri della Camere di commercio, ammontano in Regione a quasi 24mila su un totale di oltre 27mila registrate.
Negli ultimi anni a cadere sotto la scure della crisi sono stati soprattutto i ristoranti di fascia media, ma le difficoltà non hanno risparmiato neppure le eccellenze gastronomiche (Fini per tutti). L’alta ristorazione in Italia ha visto crollare i coperti del 50%. In Emilia Romagna l’eccellenza coinvolge circa 190 locali, ma a parte l’exploit di Bottura, che ha conquistato le 3 stelle Michelin, si registrano più bocciature che promozioni.

NON A CASO sono crollati i consumi del vino e anche la marginalità: gli utili nell’alta ristorazione si stanno assottigliando sempre più, i costi fissi sono in crescita vertiginosa, soprattutto quelli energetici e quelli del personale. A fianco della ristorazione è stato esaminato anche il comparti turistico. Anche qui si contano i caduti, ma parliamo di 200 attività di alloggio perdute in due anni.
I dati parlano, ma l’indagine di Swg, racconta, attraverso le interviste ai titolari che la materia prima che manca è soprattutto la fiducia. La quota dei titolari d’azienda poco o per nulla soddisfatti è passata dal 39% del 2010 al 41% dell’anno passato. E per il 44% c’è stato un peggioramento. Solo l’11% ravvisa uno spiraglio di luce e aumenta anche la percentuale di chi non intravvede spiragli. Perchè tanto pessimismo?

PER IL 69% l’aumento dei costi rappresenta il primo dei problemi e ne derivano fosche previsioni circca i margini di utile. Non solo, per il 46% degli intervistati il peggio deve ancora arrivare. Il calo della domanda sembra essere inarrestabile per il 45% del campione e un intervistato su due è anche convinto del fatto che nulla sarà più come prima.
La portata dei cambiamenti imposti dalla crisi è considerata ormai strutturale. Come ridare slancio alla valle del cibo? «Agevolazioni fiscali per le imprese, diminuzione del costo del lavoro, burocrazia più leggera». Questo è il grido che proviene dalla valle. Se avrà un’eco, questo poi è tutto da vedere.

 Pier Luigi Martelli