Bologna, 12 aprile 2012 - LA SCELTA di fare partire la parata finale del Gay pride da porta Saragozza — luogo simbolo per i cattolici bolognesi: qui, da secoli, viene accolta l’icona della Madonna di San Luca, che da qui benedice la città, prima di risalire sul Colle — non piace a monsignor Fiorenzo Facchini, docente emerito di Antropologia all’Università, già vicario episcopale per l’Università e la Scuola: «Porta Saragozza è una scelta che poteva essere evitata».

Per quale motivo?
«Perché rispolvera polemiche che si pensava appartenessero al passato».
A porta Saragozza, però, c’era la prima sede del Cassero. Per il movimento omosessuale quella è un po’ la prima casa.
«È vero che la prima sede del circolo è stata nel cassero di Porta Saragozza. Ma stiamo parlando, se non mi sbaglio, del 1982. Mentre il legame tra il cassero e l’inizio del portico della Madonna di San Luca data da qualche secolo».
Nel programma del Gay pride figura anche un sacerdote, don Luigi Ciotti. E vi prendono parte un paio di associazioni cattoliche. Cosa ne pensa?
«Francamente, la presenza e l’adesione di cattolici in quanto tali a un raduno di esaltazione delle condizione omosessuale mi rimane poco comprensibile, per non dire infelice e inopportuna».
Perché?
«Si presta a facili strumentalizzazioni. Chi pensano di rappresentare? Certamente non è richiesta dal rispetto sempre dovuto alle persone in qualunque condizione si riconoscano».
Il Comune sostiene la manifestazione e la definisce un’importante momento di promozione turistica e culturale della città.
«Trovo anche questo atteggiamento piuttosto discutibile. Perché, di fatto, così facendo Palazzo d’Accursio accende nuove polemiche, favorisce le divisioni e non l’unità».
 

Secondo don Celso Ligabue, parroco della chiesa di Santa Caterina, a due passi dal cassero di porta Saragozza, che ospita il Museo della Madonna di San Luca, quella del Gay pride «è una provocazione imperdonabile». Perché «è vero che la città è di tutti e io non ho potere, ma quella è quasi una chiesa. È un luogo sacro. Noi rispettiamo gli omosessuali, loro rispettino noi». Fernando Lanzi, direttore del museo, parla di «scelta inopportuna». Teme gesti di intemperanza: «Nei primi mesi di apertura personalmente dovetti provvedere a rimuovere scritte oscene dai muri».

di Luca Orsi