Bologna, 24 aprile 2012 - È stata riaperta una pagina della storia di Bologna. Una delle più drammatiche, senza dubbio. Eppure chi la scrisse riuscì nel difficile intento di sventare una devastazione immane. Nel sessantasettesimo anniversario della Liberazione, è stata posta una lapide a memoria e riconoscenza dei tre uomini che, fra il settembre 1944 e il 21 aprile 1945, si prodigarono per fare di Bologna una “città aperta”, risparmiandole ulteriori distruzioni: il podestà Mario Agnoli, il cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna, e padre Domenico Acerbi, priore provinciale dei Domenicani. Ed è proprio all’ingresso del convento di San Domenico che, su iniziativa del Comitato per Bologna Storica e Artistica, la lapide è stata inaugurata, alla presenza e con la benedizione di Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Ernesto Vecchi, Vescovo Ausiliare Emerito di Bologna.


Bologna visse in prima linea gli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, schiacciata fra la lenta avanzata degli alleati e l’occupazione nazista. Nel centro storico, già pesantemente bombardato, vivevano circa 600mila persone, che qui si erano rifugiate con masserizie e animali (si parla di oltre seimila mucche, che davano il latte a tutti gli abitanti).
In questa situazione inimmaginabile agli occhi di oggi, Agnoli, Nasalli Rocca e Acerbi – uomini molto diversi per formazione, storia personale e ruolo – s’incontrarono sulla necessità di salvare la città. Misero insieme il loro ingegno e la loro determinazione, e diedero vita alla lunga trattativa per fare di Bologna, già allora grande polo ospedaliero e scrigno di tesori d’arte e scienza, una “città aperta”.


Sebbene non ufficiale, il riconoscimento di fatto ci fu, da tutte le parti: nell’ottobre 1944, il centro storico divenne “Sperrzone”, zona chiusa, non occupata dai tedeschi, e non ci sarebbero stati ulteriori bombardamenti. Questo attirò, dalle periferie e dalle campagne, decine di migliaia di persone in cerca di rifugio sicuro.


Come ha ricordato l’ingegner Giuseppe Coccolini, presidente emerito del Comitato per Bologna Storica e Artistica, il podestà Agnoli e l’arcivescovo Nasalli Rocca videro subito riconosciuta la bontà del loro impegno. Il generale polacco Anders volle il cardinale al suo fianco quando, il 21 aprile, si presentò alla città come liberatore dal balcone di Palazzo d’Accursio. Quello stesso giorno, di prima mattina, l’ingegner Agnoli si recò a palazzo Comunale, per la consegna della città al nuovo sindaco Dozza; dopo poche ore di attesa, il Comitato di Liberazione Nazionale gli comunicò che poteva tornare a casa sicuro e libero, senza alcun provvedimento a suo carico: un tributo – non certo scontato, vista la situazione – a chi aveva guidato Bologna con senso dell’onore e della responsabilità nei lunghi mesi dell’estremo incubo bellico.


Bologna, dunque, fu salvata anche dall’unione di intenti fra Palazzo, Chiesa e mondo della cultura (rappresentato dai Domenicani), e dagli ideali, dal coraggio e dalla fiducia nell’avvenire di tre uomini onesti al servizio disinteressato della comunità. Una lezione di ieri, che – come ha sottolineato anche Monsignor Vecchi – dovrebbe essere d’esempio anche per la Bologna di oggi e di domani.