Pieve di Cento (Bologna), 28 aprile 2012 - "Un atto di vera vergogna: solo così si possono definire le scritte deliranti sugli annunci funebri in ricordo dell’uccisione dei sette fratelli Govoni di Pieve di Cento". Il coordinatore provinciale azzurro, Alberto Vecchi, condanna i teppisti che hanno imbrattato i manifesti fatti affiggere dalla famiglia nel 67° anniversario della morte. Il massacro avvenne l’11 maggio 1945 e vennero accusati alcuni tra i partigiani.


Uomini armati bussarono alla porta degli anziani coniugi Govoni, contadini da generazioni, e prelevarono sette dei loro figli; l’ottava si salvò perché, sposata, si era trasferita altrove. Soltanto Dino (41 anni) e Marino (33) avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana, senza peraltro essersi macchiati di delitti o soprusi.
 

C’erano poi Emo (32 anni), Giuseppe, padre di un bambino di tre mesi (30), Augusto e Primo (di 27 e 22 anni). Venne presa anche Ida, che aveva vent’anni e stava allattando un bambino di due mesi. Gli uomini con il mitra dissero che si trattava soltanto di un breve interrogatorio, per raccogliere informazioni. Ma quei sette non tornarono più.


L’altro giorno, a Pieve, sui manifesti affissi dalla famiglia Govoni, sono apparse quelle scritte che riportano alla luce un passato oscuro. ‘Spie’ e ‘Antifascisti sempre’, sono le frasi corredate dalla stella a cinque punte e dalla falce e martello, scritte con un pennarello nero.


Gli annunci funebri vengono affissi ogni anno e riportano sempre la stessa frase sotto le foto dei sette fratelli: ‘Di chi vi piange e di chi attende il paziente conforto della giustizia divina, l’unica in grado di portare pace fra tutte le genti’. Stefani Ferioli, coordinatrice del Pdl a Pieve, condanna chi vuole far sopravvivere un odio ingiustificato anche dopo la morte: "In un paese — sbotta — che conta oltre 50 vittime dei tragici eccidi del dopoguerra, la scoperta di queste scritte ci lascia attoniti e sbigottiti. La ritengo una gravissima offesa alla memoria di questi martiri. La coincidenza, a ridosso del 25 Aprile assume un significato ancora più sinistro: dopo oltre 60 anni in cui si è cercato di ristabilire la verità storica di quei tragici fatti, significa che questi morti fanno ancora paura e la coesione nazionale per il libero confronto delle idee e posizioni, sollecitata anche da Napolitano, resta un’utopia. Esprimo massima solidarietà alla famiglia e vergogna agli autori delle ignobili scritte".
 

 

di Matteo Radogna