Bologna, 29 luglio 2012 - “La storia e’ piena di processi che si sono conclusi con sentenze che non corrispondono alla realta’ storica. Nella strage alla stazione di Bologna si sono incrociati interessi diversi: quello dello Stato e delle istituzioni a nascondere il ‘lodo Moro’, l’interesse dei comunisti che avevano bisogno di una strage neofascista e l’interesse della Procura di Bologna che voleva essere la prima a pronunciare una sentenza su di una strage”. Cosi’ il parlamentare Fli ed ex membro della commissione Mitrokhin Enzo Raisi commenta con l'Adnkronos il mosaico di tasselli che lui stesso ha messo insieme nel libro sulla strage di Bologna, di cui e’ autore e che uscira’, edito da Minerva, tra settembre e ottobre con un titolo che, anticipa, “potrebbe essere ‘Bomba non bomba’”.
Un volume incentrato su alcune indagini che Raisi ha condotto personalmente tra tribunali, commissioni, obitori e che si intreccia con episodi della “vita personale di ragazzo di destra come me che viveva a Bologna e che quella mattina del 2 agosto stava andando in stazione in bicicletta: partivo per il mio primo giorno di servizio nei Carabinieri”. Da allora, fino alle aule parlamentari, Raisi e’ stato sempre concentrato sui fatti della strage, ma secondo lui ad oggi su quei fatti, che sono ancora una ferita aperta per la citta’ che attende di conoscere i nomi dei mandanti, “e’ stata trovata una soluzione di comodo: sono stati incolpati Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini che avevano peraltro gia’ condanne per altri fatti, ma che non appartenevano minimamente alle cellule della vecchia destra bombarola”.
Raisi, insomma, continua a sostenere la necessita’ di andare avanti sulla cosiddetta ‘pista palestinese’ e del terrorismo internazionale legata a Carlos, a Thomas Kram, a Margot Frohlich e all’Fplp. Secondo Raisi, in particolare, in questo filone che prende spunto dal lavoro della Mitrokhin e che ha portato la Procura di Bologna ad aprire un’inchiesta bis, dopo un esposto che lo stesso Raisi ha presentato ai pm felsinei, c’e’ un altro aspetto su cui “bisogna fare piena luce ed e’ il il ruolo di Mauro Di Vittorio”. Si tratta del ragazzo romano di 24 anni che mori’ nella strage alla stazione, ma che secondo Raisi potrebbe non essere stato un semplice passeggero. La sua morte potrebbe non essere stata insomma una tragica casualita’, come per gli altri 84 che hanno perso la vita quella mattina alle 10.25, nel giorno che resta il piu’ nero per tutti i bolognesi.
Il ‘filo d’arianna’ ripercorso a ritroso da Raisi parte due mesi fa circa dalla sede della Medicina legale di Bologna. Il presupposto, precisa il parlamente di Fli, “e’ la tesi di Cossiga, quella dello scoppio accidentale di una bomba” che da Bologna era sono in fase di trasporto, forse con destinazione Roma. “Ma se e’ vero che qualcuno trasportava una bomba, mi sono detto che il trasportatore potrebbe essere rimasto ucciso nell’esplosione - argomenta Raisi - cosi’ sono andato all’obitorio e mi sono fatto dare tutte le carte delle autopsie delle vittime. Li’ c’era il dottore responsabile che era presente anche il 2 Agosto del 1980 e mi ha spiegato che, guarda caso, proprio il corpo di Di Vittorio rimase a lungo non identificato”.
Non solo. “Il responsabile mi ha anche raccontato che alcuni giorni dopo la strage due giovani, un ragazzo dai tratti apparentemente mediorientali e una donna piu’ giovane, vestiti come all’epoca vestivano i ‘compagni’ - continua Raisi - sono arrivati all’obitorio chiedendo di vedere i cadaveri perche’ non trovavano un loro amico che poteva essere alla stazione. I due hanno guardato i pochi corpi ancora non identificati e quando hanno visto Di Vittorio si sono guardati tra loro con aria impaurita e sono scappati.
Un fatto che Raisi racconta nel libro e che, rimarca, “mi e’ stato confermato anche dal maresciallo dei carabinieri, ora morto, e da un avvocato che aveva gia’ sentito questa storia e da un altro dottore della medicina legale, secondo cui oltre al maresciallo, anche il primario corse dietro ai due giovani scappati dall’obitorio”. In sostanza, secondo Raisi, si tratterebbe di una sorta di riconoscimento effettuato tra giovani dei collettivi di sinistra. A sostegno della sua ricostruzione Raisi cita anche l’intervento a difesa di Di Vittorio che l’ex brigatista Sandro Padula (ex marito di Margot Frohlich) ha postato sul blog ‘FascinAzione’ di Ugo Maria Tassinari, a commento di una recente intervista rilasciata da Raisi su questo tema alla stampa locale.
Ma non finisce qui. “Di Vittorio aveva in tasca un biglietto della metropolitana di Parigi, quando invece dalla scheda pubblicata su di lui nel sito dell’Associazione dei parenti delle vittime e’ scritto che stava andando a Londra, ma che era stato respinto alla frontiera”, precisa Raisi.
“Di fatto Di Vittorio stava tornando verso Roma, ma i suoi familiari non ne sapevano nulla - continua Raisi - All’obitorio di Bologna mi hanno detto anche che la madre si e’ presentata alcuni giorni dopo, insieme alla sorella, e non si capisce perche’, visto che la famiglia attendeva notizie da Londra dove lo credevano arrivato, come ricostruisce anche il sito dell’associazione”. Per Raisi, dunque, qualcosa non torna. Sempre citando fonti dell’obitorio di Bologna, il deputato rimarca che “la madre si e’ presentata con una carta di identita’ intonsa in mano, quando al contrario nel sito dell’associazione delle vittime c’e’ scritto che il 10 agosto c’e’ stata una telefonata della polizia alla famiglia che annunciava il ritrovamento della carta d’identita’ a Bologna”.
Raisi torna di nuovo a spulciare le carte, stavolta in Tribunale a Bologna dove, riferisce, “ho trovato i documenti dei carabinieri relativi al riconoscimento e da questi e’ emerso che il corpo era completamente bruciato, come puo’ accadere a chi si trova vicino a una bomba che esplode. Dai verbali dei militari che hanno, invece, raccolto tutte le macerie e avevano l’ordine di fare un elenco di tutti gli effetti personali e documenti delle vittime rinvenute, non risulta ne’ il ritrovamento della carta d’identita’, ne’ del diario di viaggio di Di Vittorio”.
Paolo Bolognesi, prosegue Raisi, “dovra’ spiegare perche’ nella scheda ci sono scritte cose non vere: o si tratta di ignoranza, o di una vera e propria azione di depistaggio per coprire qualcosa”. Tanto che, sottolinea Raisi, “anche nel libro sulla strage di Giovanni Fasanella - prosegue Raisi - la stessa sorella di Di Vittorio ammette che tra il 6 e il 7 agosto la famiglia ha ricevuto una telefonata anonima da Bologna in cui qualcuno dice loro che il ragazzo e’ morto”. “Di Vittorio faceva parte di un collettivo collegato con il gruppo di Via dei Volsci e di Daniele Pifano che aveva a sua volta aiutato Saleh e l’Fplp”, sostiene Raisi, smentito pero’ dallo stesso Sandro Padula che, sempre sul sito ‘FascinAzione’ scrive che “non risulta minimamente che il ventiquattrenne Mauro Di Vittorio avesse mai fatto parte del Collettivo del Policlinico in cui militavano i tre autonomi arrestati ad Ortona”. Infine, il tassello del diario di Di Vittorio che, riferisce ancora Raisi, “e’ citato sempre nel sito dell’associazione, ma che in realta’ non e’ mai stato ritrovato”.
Insomma, “io credo che avesse ragione Cossiga: la strage di Bologna e’ stata accidentale. Inoltre e’ stato fatto l’errore di mettere l’innesco insieme alla bomba”. “Perche’ poi fare un attentato a Bologna che era la sede logistica della sinistra, dell’Flp e ospitava il deposito di Prima Linea?” si chiede Raisi ricordando anche che “Carlos stesso ha sempre parlato di Roma”.
“Io non faccio ipotesi, sta ai magistrati e alle procure dare risposte su queste cose - conclude l’esponente di Fli - non dico che Di Vittorio sia stato il responsabile, anzi potrebbe essere stato una vittima sacrificale, secondo una metodologia terroristica che e’ tipica del medioriente”. Per niente d’accordo con Raisi e’ il presidente dell’associazione dei parenti delle vittime Paolo Bolognesi, da sempre convinto che la pista palestinese non sia la strada per arrivare ai mandanti. “La pista teutonico-palestinese ci sembra una gran baggianata, ma questa e’ la nostra opinione” rimarca, infatti, Bolognesi, ricordando che l’associazione ha presentato in Procura a Bologna “una memoria molto voluminosa con allegati gli atti di Brescia e Milano”. La richiesta e’ di approfondire i legami con questi altri fatti processuali.
“Abbiamo chiesto ai giudici che facciano una serie di acquisizioni” ha continuato Bolognesi, precisando che “la nostra ipotesi di lavoro va sicuramente in tutt’altra direzione rispetto alla pista teutonico-palestinese che a nostro avviso non porta da nessuna parte”. Immediata e durissima la replica di Raisi che ha annunciato “querelero’ Bolognesi per queste parole. L’ho gia’ fatto una volta e ho avuto soddisfazione, tanto che lui si e’ dovuto scusare e sono pronto a rifarlo”. Raisi e’ convinto infatti che l’affermazione di Paolo Bolognesi sia “gravissima e irrispettosa nei confronti del lavoro svolto da una Commissione di inchiesta parlamentare, la Mitrokhin”.
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