Bologna, 2 settembre 2012 - IL NONNO Mario, nel 1945, costruì la sua prima macchina elettrica per macinare il caffè. Ora le sue affettatrici, le sue macchine per tritare la carne, segare le ossa, produrre ghiaccio o hamburger, veri marchingegni della robotica alimentare industriale, sono piazzate nelle cucine dell’Eliseo e in quelle del Cremlino, al castello di Windsor o nelle basi Nato di tutto il mondo, e perfino in Vaticano.

E lei, la «metalmeccanica» Elisabetta Salati Chiodini, guida l’azienda di famiglia in una sorta di quadrumvirato che comprende anche i due fratelli e la madre Franca. Inseparabili nella vita aziendale: alla Minerva Omega Group la famiglia e l’azienda sono la stessa cosa. Punto forte della storia e del carattere di questa imprenditrice, figlia, moglie, sorella e madre. In lei non si scindono i ruoli, tanto che in fabbrica Betta ci ha trasferito tutto quello che l’accompagna nella vita: l’arte (una vera passione), la natura (ha piantato ulivi nei giardini interni), le cucce per i suoi tre inseparabili griffoncini di Bruxelles. Cagnolini che, dice, le hanno cambiato la vita: «Portano a tutti una enorme serenità». Ma questa signora volitiva e solare la serenità sembra averla ereditata dalla famiglia, solida come una roccia, di quelle d’una volta. Tutti per uno...
Signora Betta, azienda e famiglia, la stessa cosa?
«Quando mio marito Andrea mi ha sposata, sapeva che sposava me e tutta la mia famiglia, azienda compresa. E ha avuto una grande pazienza….»
E quando è iniziata l’avventura delle macchine alimentari?
«Con mio nonno Mario e mia nonna Maria. Lui era meccanico, fabbro, artista e si inventò la prima macchina per macinare il caffè. Chiamò la ditta Minerva perché era la dea dell’intelligenza: Senza intelligenza non si fa impresa, diceva».
La dinastia: dai nonni ai suoi genitori...
«Lavoravano tutti insieme, finché i miei nonni sono morti. Nel frattempo, l’azienda è cresciuta e si è trasferita: era nata nel dopoguerra in via del Parco. Ora nell’ingresso della Minerva, accanto alle prime macchine di nostra produzione, c’è l’incudine del nonno. E’ iniziato tutto da lì».
Oggi?
«Siamo un gruppo leader mondiale, con due sedi, una qui alle Roveri e una vicino a Varese. Esportiamo il 60% della produzione. Ma il merito è di tutti: io, i miei due fratelli e mia madre decidiamo sempre insieme».
Anche lei era destinata all’azienda sin da bambina?
«Io da piccina andavo in fabbrica nelle ore libere per stare al citofono all’entrata, ma in realtà sognavo di fare il medico: il chirurgo, leggevo tanto, sognavo viaggi, e poi mi piaceva da matti disegnare...».
E com’è che ha fatto la “metalmeccanica”?
«A scuola ero sempre la più brava e mi iscrissi al Minghetti, il classico. Ma i miei, che erano persone molto pratiche, mi spostarono al Tanari: si sentivano più sicuri se avevo un diploma, un pezzo di carta, come lo chiamavano. Anche i miei fratelli sono stati spediti alle Aldini...»
Ha mai rimproverato i suoi per questo?
«Forse, i primi tempi. Poi, con il diploma da ragioniera, io stessa decisi di iscrivermi ad economia e commercio, ma non avevo intenzione di andare a lavorare nell’azienda di famiglia. Mi misi a esercitare la professione per cinque anni, presso uno studio di dottori commercialisti. Solo dopo decisi di occuparmi della Minerva perché mi sembrava più logico che fossi io a fare i conti in casa nostra».
Insomma, ha raccolto il testimone della dinastia...
«Da quando sono entrata alla Minerva, a 27 anni, tutto è stato molto naturale. Ho scelto in piena libertà e stavo bene. Poi, dopo qualche anno, mi sono sposata e sono arrivate le mie tre figlie, ma lavoravo anche subito dopo il parto. Con la mamma, Andrea e Daniele, lavoro e famiglia sono tutt’uno, per noi».
Le sue figlie: la vostra azienda è anche il loro futuro?
«Deciderà la vita. Lasciamola fluire, come in fondo è stato per me».
Come si dividono i ruoli con i fratelli?
«Io sono la responsabile amministrativa, commerciale e finanziaria. Andrea e Daniele, che è anche vicepresidente di Unindustria, sono ingegneri e si occupano della produzione, dei progetti, dell’organizzazione, del nostro futuro. Ma, ripeto è un lavoro d’equipe dalla mattina alla sera…»
Chi inventa i nuovi macchinari?
«Loro due, ma siamo tutti coinvolti. Per esempio, hanno brevettato una macchina che trita la carne e nello stesso tempo la refrigera, in modo da mantenerla sana ed evitare che aumenti la carica batterica».
E’ così che avete conquistato i mercati mondiali?
«Certo, lavorando, sempre al meglio e innovando. La forza della nostra azienda è la collaborazione, la solidarietà, anche con chi sta in officina: per noi sono collaboratori, non dipendenti».
Tre figlie, un marito e anche tre cani. C’è tempo per gli hobby?
«Considero la Minerva il mio quarto figlio. Quanto ai tre cagnolini sono il mio hobby, la mia salvezza contro l’ansia, mi svuotano la testa. Cominciai per caso due anni fa con il primo, che mi fu regalato da un’allevatrice perché aveva la displasia dell’anca. Poi, ne ho comprati altri due, uno dietro l’altro. A casa mi hanno preso per matta, ma alla fine sono tutti affezionatissimi. Poi, quando posso viaggio: concilio lavoro e cultura, perché amo tantissimo l’arte».
Lei è solare, energica, positiva. Difetti?
«Sono focosa, dunque mi arrabbio, ma mi passa in due secondi. E poi sono permalosa. E, ammesso che sia un difetto non fermarsi davanti a nulla per un obiettivo, allora lo ammetto: sono una vera schiacciasassi».

di Gaia Giorgetti