Bologna, 23 marzo 2013 - Oggi in piazza Maggiore i promotori del referendum del 26 maggio contro il finanziamento comunale alla scuola materna paritaria cominciano a suonare le loro trombe. È il momento, allora, che i cittadini e le associazioni di opposto avviso si accingano a suonare le loro campane. In ballo non c’è soltanto una questione di carattere economico: quel milione di euro che viene erogato ogni anno alle scuole paritarie, in riconoscimento del servizio che esse erogano alla cittadinanza, con le loro strutture e il loro personale. I bolognesi saranno chiamati a pronunciarsi (in modo consultivo) su di una delicata questione di libertà, che è chiaramente esposta nella Costituzione in una norma anteposta all’articolo 33. Recita, infatti, l’articolo 30 nel primo comma: "È dovere e diritto dei genitori, mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio".


La pretesa di imporre una visione prioritaria e privilegiata della scuola pubblica — tramite il quesito referendario — mette in discussione proprio il diritto-dovere dei genitori di educare i figli secondo i propri valori e principi. Tanto più che i referendari bolognesi prendono di mira quella materna, ma si rivolgono alla scuola paritaria nel suo insieme.

Si tratta di una materia delicata al cui proposito – grazie alla mediazione di un ministro della Pubblica istruzione ex comunista (Luigi Berlinguer) – furono trovate soluzioni funzionali che hanno consentito di valicare – nel Paese dei Guelfi e dei Ghibellini – gli steccati ottocenteschi tra laici e cattolici. Rimettere in discussione, sotto le Due Torri, questo compromesso è da irresponsabili, considerando che la scuola materna pubblica non sarebbe in grado di svolgere, con un milione di finanziamento in più, il medesimo servizio assicurato, con le medesime risorse, dalle istituzioni paritarie.


L’alternativa di una scuola laica, in grado di garantire una formazione egualitaria e ‘neutrale’, non esiste. Al dunque, lo Stato laico si identifica e si esprime attraverso un insegnante a cui è consentito di manifestare, in nome della libertà d’insegnamento, le proprie convinzioni a coloro che gli sono affidati da famiglie alle quali si vuole rendere più difficile e oneroso il diritto all’educazione dei figli.

 

Giuliano Cazzola