Bologna, 11 giugno 2013 - "L’arte è la stessa in qualsiasi epoca". A parlare è Francesco Ciancabilla, il pittore pescarese che ha appena compiuto 54 anni e che nel novembre del 2005 ha finito di scontare la pena (9 anni) per l’omicidio di Francesca Alinovi.

Una pena ritenuta ingiusta dall’artista,che si è sempre proclamato innocente. "Ho ‘dedicato’ un lavoro a Francesca e chi la conosceva dovrebbe capire facilmente quale è. Cambiano gli stili, le forme, ma non la necessità per l’uomo di esprimere se stesso, i propri pensieri, le emozioni, i sentimenti o di competere con la natura per creare il bello".

Conclusa l’esperienza come gestore di un pub in Spagna, ha deciso di tornare a dipingere. Perché?
"Dopo il carcere ho sentito il bisogno di tornare a Madrid e di fare quello che stavo facendo prima di essere arrestato. Terminata questa avventura ho sentito il bisogno di rimettermi a dipingere. Era come una mano interiore che mi tirava con forza, anche se per tanto tempo non ci avevo pensato più e credevo l’esperienza morta. Forse c’è anche il bisogno di riprendere la vita da dove mi era stata tolta, di considerare la prigionia una parentesi (senza senso) e niente di più".


Ha dipinto anche durante la latitanza in Brasile. Poi ha smesso perché il suo stile è stato riconosciuto. Che cosa caratterizza i suoi quadri?
"Mi ero inventato una tecnica che molti anni dopo è stata ripresa da graffitisti anche famosi (vedi Banksy). Io uso delle maschere e la vernice spray, ma anziché utilizzare stencil (sagome già ritagliate) applico sulla superficie dei pezzetti di carta gommata e poi spruzzo la vernice. Le figure non sono ripetibili ed è per questo che considero la mia tecnica ancora attuale, pur se non è più tanto rivoluzionaria come poteva essere nei primi anni Ottanta".
 

Lei ha anche una piccola esperienza come poeta. Nei suoi componimenti ci sono forti contrasti del tipo ‘Città di tutta la nostra dimenticanza’. Come si concilia l’anima dei graffiti con la scrittura?
"Io non mi sento né poeta né scrittore, non avendo esercitato le forme della scrittura, poi se l’arte è esprimere quello che uno ha dentro, possono valere tutte le forme, dalla scrittura alle arti visuali, dal teatro (io avevo cominciato come artista di spettacolo quando conobbi Francesca) alla musica. I contrasti ci sono e sono forti anche nella mia pittura".
 

Quali sono i temi che lei tratta nei suoi quadri?
"Mi piace ‘fotografare’ la gente reale, con una predilezione per i reietti della società, neri, barboni, bambini affamati, gente che se ne va per strada ballando e che è considerata ‘pazza’. Si sente anche una certa critica alla nostra società consumistica, ma questa non è esplicitata".
 

Esporrà a Bologna?
"Sì, esporrò entro la fine dell’anno. Sto concretizzando una data con il gallerista, ma la prima mostra la inaugurerò a Pescara sabato 31 agosto".
 

Che effetto le fa tornare sotto le Due Torri?
"Bologna è un po’ la mia città, mio padre è nato lì e ho tanti parenti, oltre che tanti amici, ci sono cresciuto, ci sono vissuto forse più che a Pescara o in qualsiasi altra città italiana e ci torno spesso. L’effetto che mi ha fatto dopo tanti anni di latitanza e di carcere è stato piuttosto deludente. Come tutte le città italiane è diventata una città vetrina, per zombies che vanno a fare shopping o che vanno a mostrarsi in locali di moda. Molto diversa dalla Bologna che amavo, piena di fermenti culturali, di creatività, di lotte sociali".
 

Ha dedicato una sua opera a Francesca Alinovi.
"Sì. Avevo anche pensato di fare un lavoro che la rappresentasse direttamente, per rivelare la complessità del suo pensiero, ma ho desistito. Non voglio giocare con questa brutta storia che mi è capitata e che ho dovuto subire per fare ‘notizia’, quindi è rimasto un progetto non realizzato e mi sono limitato a una dedica".

Massimo Selleri