Bologna, 22 luglio 2013 - «PARLI forte perché la guerra mi ha fatto perdere un po’ dell’udito, specialmente viaggiando in elicottero». Sorride il senatore Giovanni Bersani, mentre riflette sul suo 99esimo anno d’età. Oggi, nella splendida casa di cura Gruppioni sulle colline sopra San Lazzaro, Bersani accoglierà le persone a lui più affezionate.
 

Senatore, cosa si prova ad entrare nel centesimo anno d’età?
«Mi rendo conto che è un bel traguardo e che debbo qualcosa alla Provvidenza di Dio che mi ha assistito in tutti questi anni. Eppure le vicende complicate non mi sono mancate. Cento anni sono un traguardo di cui dobbiamo essere grati e quindi il sentimento che ho io è come quello di un compimento di un destino. La sensazione è quella di una scadenza imminente, insieme alla sensazione di una particolare benevolenza».
 

Si sente stanco?
«No, direi di no. Direi che sono quasi in uno stato normale».
 

Lei ha appena finito il suo ennesimo libro. Quante pubblicazioni ha fatto in vita sua?
«Circa 100, tante quante i miei anni direi (sorride; ndr)».
 

Lei ha conosciuto un secolo intero. Pensa che la nostra generazione avrà la forza per ripartire dopo questa tremenda crisi?
«Effettivamente sono passate varie generazioni. Io credo che puntando sugli stessi valori la generazione attuale non dovrebbe avere difficoltà a vivere la sua stagione in modo appropriato. Certamente il senso della partecipazione, del coinvolgimento nella vita sociale e politica mi pare che sia adeguato. Specialmente i giovani, li vedo aperti e pronti».
 

La fase politica odierna è complicatissima. Ha mai visto qualcosa del genere?
«La scelta di Napolitano di rimanere per un secondo mandato è in un certo senso obbligata dal contesto. No, è la prima volta che vedo qualcosa del genere. E’ un po’ un’edizione nuova della collaborazione fra forze politiche così diverse. Tutto questo certamente dimostra un senso di responsabilità».
 

E’ un governo che può durare?
«No no, per un certo periodo può durare, al di là mi pare difficile».
 

Cosa ne pensa di Matteo Renzi?
«Eh, Matteo Renzi... Certamente persona sul piano politico molto intelligente. Tuttavia per ora è un po’ troppo isolato per poter portare avanti il suo progetto. Renzi certamente sa dove vuole arrivare, lo sa in modo preciso e fermo. Gli altri sono un po’ tutti così traballanti».
 

E di questo nuovo Movimento 5 stelle?
«Certamente è un po’ un’invenzione, una cosa nuova. E quindi è presto per dire se ha una certa solidità oppure se è un’improvvisazione, difficile dirlo adesso. Rispetto alla relativa immobilità degli altri le sue iniziative un po’ stravaganti fanno notizia e hanno un qualche successo. Certamente i partiti tradizionali sono in una situazione difficile, ma bene o male rappresentano una delle realtà della politica italiana».
 

Lei ha lavorato tanto per l’Africa. Le manca?
«Mi manca molto perché io ho vissuto una per una tutte le vicende di qualche significato delle 50 afriche. Mi manca soprattutto la problematica politica e sociale dei diversi paesi».
 

Il progetto di cui va più orgoglioso?
«La gestione della Convenzione di Lomé, che sono gli accordi tra l’Europa e l’Unione africana. Un giorno stavo proprio a Bologna quando mi arrivò la notizia che Sankara, che guidava il governo rivoluzionario della Burkina Faso, era stato ucciso dal suo vice. Allora prenotai un piccolo aereo a mie spese e piombai giù. Il nuovo presidente mi ricevette subito e discutemmo tutta la notte. Lui aveva già deciso che dopo l’uccisione di Sankara avrebbe ucciso altri 11 tra sottosegretari e ministri. Non voleva tornare indietro, senonché alla fine si persuase. Allora al mattino me li presentò tutti in fila e mi disse: ‘Adesso è roba sua, faccia quello che vuole’. Ho salvato 11 persone. Oggi per un caso del genere a Bruxelles si discute, ci deve essere l’incaricato, la missione, il tipo di missione ecceter.... Io avevo uno stile tutto mio».
 

Ora l’Africa pare colonizzata ancora una volta, ma dalla Cina. Cosa ne pensa?
«I cinesi con le loro iniziative pesano, incidono. Non sono superficiali. Tendono ad andare a incidere in profondità sullo sviluppo economico. Credo che alla lunga possa portare dei problemi seri».
 

Oltre al suo lavoro in Africa, lei è stato il padre delle cooperative bianche. Cosa ricorda di quel periodo?
«Devo dire che, stranamente, il movimento cooperativo era molto più sviluppato nelle aree vicine al socialismo che non in quelle aree in cui predominava una cultura cattolica. Difatti io dovetti costruire dal niente il movimento bianco in Emilia Romagna. Tutto questo è avvenuto sempre in un clima di grande rispetto per i principi delle diverse componenti, non è estraneo a quello avvenuto ai giorni d’oggi, cioé alla confluenza unitaria di cooperative di vario indirizzo ideologico».
 

E la sua Bologna? Le manca?
«Certo, Bologna mi manca molto, soprattutto affrontarne le problematiche che riguardano la vita sociale. Ricordo la Bologna degli anni ’70. E’ un periodo vivo nella mia mente, anche se ero sempre impegnato in Africa, in America Latina o nelle isole del Pacifico. Quella era una stagione dove la capacità di produrre idee e iniziative era molto forte».

Saverio Migliari