Bologna, 11 ottobre 2013 - «DOPO tanti anni torno a vivere». Sono le prime parole dette da Anna Maria Franzoni fuori dal carcere della Dozza. La donna è stata condannata a 16 anni di reclusione per il delitto del figlio Samuele Lorenzi, avvenuto la mattina del 30 gennaio 2002 a Cogne. La Franzoni è stata ammessa al lavoro esterno dal carcere della Dozza. Può uscire la mattina per poi rientrare nel primo pomeriggio nella casa circondariale della Dozza. Si tratta di una misura amministrativa che viene emanata dal direttore del carcere e viene controfirmata dal magistrato di sorveglianza.

La Franzoni resta tecnicamente detenuta nella Dozza, dov’è reclusa dalla notte del 21 maggio 2008. Da cinque anni sta scontando la condanna che le è stata inflitta, 16 anni di carcere, tre coperti da indulto. Alla donna era stato concesso in passato solo un permesso, per consentirle di essere presente, il 31 agosto 2010, al funerale del suocero.

 

SI CHIAMA ‘Gomito a gomito’. E ricorda da un lato l’indirizzo del carcere e dall’altro la ristrettezza degli spazi in cui i detenuti devono vivere. È il laboratorio sartoriale del carcere della Dozza in cui lavorano le detenute della sezione femminile. Tra loro c’è Annamaria Franzoni, in carcere perché condannata a sedici anni di reclusione per il delitto del figlioletto, Samuele Lorenzi.
Il progetto nasce dall’amministrazione penitenziaria e dalla Cooperativa ‘Siamo Qua’, la stessa in cui la Franzoni è stata ammessa al lavoro esterno dal carcere. La cooperativa si trova all’interno della parrocchia di Sant’Antonio di Padova alla Dozza, poco distante dal carcere. È guidata da don Giovanni Nicolini.
 

Don Nicolini, quindi Anna Maria Franzoni esce dal carcere e viene ogni giorno a lavorare nella vostra cooperativa?
«In realtà lei faceva già da tempo il lavoro che svolge nella nostra cooperativa che si chiama ‘Siamo qua’ e lavora per il carcere e nel carcere. Ma non solo. Lo faceva all’interno del carcere della Dozza come succede per tanti detenuti e ora ha avuto il permesso di venire da noi in parrocchia».
Quando?
«Dal lunedì al venerdì».
E gli orari?
«Dal mattino fino al primo pomeriggio, intorno alle 15, poi rientra in carcere».
La distanza fino alla parrocchia non è molta.
«E’ vero la distanza è poca e ogni giorno viene accompagnata».
Da quando?
«Ha iniziato lunedì scorso».
Di che cosa si occupa?
«Come tutti gli altri che lavorano per la cooperativa fa oggetti di abbigliamento, borse molto semplici e altri accessori. Qui da noi hanno macchine da cucire e altri strumenti da lavoro».
Lei come la vede?
«La vedo bene, è serena e contenta della sua attività. Da qualche anno la cooperativa svolge questa attività nel carcere e a noi, in realtà, capita spesso di ricevere persone che arrivano dalla Dozza, ci vendono mandate dal carcere, lei è una di queste. Tutto qui».
Come si trova con gli altri lavoratori della cooperativa?
«È riservata, ha un suo posto di lavoro attrezzato in una stanza con tutto quello che serve ed esegue i compiti che vengono dati quotidianamente come fanno tutti gli altri. Ripeto è da tempo che lei lavora con noi e ora lo fa dentro la nostra parrocchia invece che in carcere».
Qual è lo scopo di questo progetto dentro e fuori dal carcere?
«Viene data la possibilità alle detenute di imparare un mestiere, di fare oggetti di abbigliamento e di sperimentare la propria creatività in un’attività di lavoro reale».

 

di EMANUELA ASTOLFI