Bologna, 19 ottobre 2013 - Cariche di memoria, provano a inventarsi un futuro. Senza nostalgia. Sconosciute a chi ha meno di 40 anni, le Case del popolo ormai svivacchiano fra un tombolone e una festa sociale. Per il resto, ammette Mauro Roda, del Pd, presidente della Fondazione Duemila, che gestisce il patrimonio di tutti i circoli ereditati dall'ex Pci, «sono dei condomìni». Ospitano sindacati, polisportive, associazioni varie (Arci in testa), farmacie, bar.

È preistoria il passato che le vedeva «centri di lotta operaia e democratica per l'emancipazione del lavoro, la libertà e il socialismo». E sono storia gli anni d'oro del boom, gli anni Sessanta. Quando - reimbiancate le pareti su avevano lasciato l'alone i ritratti dei padri del comunismo, finiti in cantina - gli stanzoni delle Case del popolo si trasformano in sale da ballo. E i compagni più vecchi faticano a digerire che la Sala Circolo Culturale - dove al film del regista sovietico seguiva l'immancabile dibattito - venga ribattezzata Cheek to Cheek.

A Bologna, le Case del popolo nascono ai primi del '900. «Si volevano affermare i valori della solidarietà, oggi diciamo sussidiarietà, l'importanza dell'aggregazione». In altre parole, «si rispondeva a un bisogno sociale». Fra le mura delle Case del popolo, comunisti e socialisti si sono sempre ritrovati insieme, a dispetto di tutto. Spesso nascono lì le prime esperienze della cooperazione.

Nella terra di Peppone e Don Camillo, le Case del popolo fanno da contraltare alle parrocchie. «E come le parrocchie - ricorda Roda - erano un luogo sicuro per i ragazzi. Lì c'era una comunità che li accoglieva con affetto, che li teneva lontani dalle tentazioni della strada».

Nelle case del popolo «si imparava a vivere la democrazia», afferma Roda. Molti ragazzi «trovavano un luogo dove incontrarsi», in un mix di generazioni diverse. Si parla di politica, si gioca a carte, si fa sport, si fa cultura, doposcuola, si guarda la tv. «Alla Casa del popolo ho trascorso la mia infanzia, la mia adolescenza e qualche anno più oltre», ricorda lo scrittore Maurizio Garuti.

Le sale da ballo si usano anche per matrimoni e banchetti. Quando è possibile, si invitano i big del Partito comunista. Nel 1969 si tiene a Bologna il XII congresso del Pci. La Casa del popolo di San Giovanni in Persiceto vive una serata memorabile: serviti da dodici camerieri in giacca bianca e papillon, siedono a tavola i vertici del partito, da Enrico Berlinguer a Giancarlo Pajetta, da Giorgio Napolitano a Pietro Ingrao. Non manca una delegazione nordvietnamita.

Ma sono di richiamo anche le serate musicali. Prima i «veglioni proletari», poi la filuzzi. Quindi i 'complessi': suonano nelle Case del popolo di Bologna - al Candjleias, alla Sirenella - l'Equipe 84, i Rokes, i Nomadi, i Camaleonti, gli esordienti Pooh. E poi una giovanissima Mina, Iva Zanicchi, Orietta Berti, Francesco De Gregori e Lucio Dalla (un decennio prima di Banana Republic), Francesco Guccini, Andrea Mingardi.

Qualche giorno fa, la Notte Rossa delle Case del popolo ha rianimato quei luoghi con incontri culturali, musica, spettacoli e crescentine. «Volevamo farle conoscere ai giovani», spiega Roda. Il bilancio? «Buono, alcune migliaia di persone, molte facce nuove». Si pensa a un rilancio. Per evitare di dovere vendere pezzi di memoria. «Senza nostalgia, per provare ad essere utili nelle mutate condizioni sociali di oggi, offrendo spazi per attività autogestite dai ragazzi. Perché lo spirito di allora è ancora valido ancora».

di Luca Orsi