Bologna, 3 dicembre 2013 - NEL CONDOMINIO di John De Leo abitano un’avvocatessa con manie suicide, un fanatico religioso, il sempre presente Mattia Pasquale e pure un gatto persiano che nelle sue scorribande da un appartamento all’altro è il vero tratto di collegamento con la varia umanità che abita l’immaginario del visionario e dotato lughese che a sei anni dalla sua ultima incisione discografica, Vago svanendo, è entrato nuovamente in sala d’incisione per un album che entro primavera sarà bello confezionato dall’etichetta Carosello. E che, appunto, mette insieme in musica le dinamiche di convivenza e quel minimondo che abita le scale dello stesso palazzo. La culla dove vengono emessi i primi vagiti è la Groove Factory di Castel Maggiore dove l’autore italiano più osannato della scena indie è accompagnato dai Filarmonici del Teatro Comunale (in formazione lievemente rimpinguata) che domenica hanno inciso le basi in un tour de force che li ha tenuti in sala di registrazione tutto il giorno (le foto).
 

Com’è nata la nuova collaborazione?
«Chiamiamola velleità. Quella di fare un disco con una parte solo strumentale che mi mettesse in evidenza come compositore era un’idea che avevo e la realizzo adesso. Diciamo che c’è una prima ‘facciata’ in cui si sentirà la mia voce e una seconda di puro ascolto con gli archi del teatro, un altro quartetto formato da Dimitri Sillato, Valeria Struba, Nicoletta Bassetti e Fabio Gaddoni, le percussioni, il piano, la sezione fiati con Beppe Scardino e Piero Bittolo Bon, ed effetti speciali».

E ci ha messo sei anni per mettere a punto il progetto?
«Un po’ sono pigro, un po’ si tratta di composizioni impegnative, un po’ sono incontentabile. Se non avessi intorno a me Fabrizio Tarroni, Dario Giovannoni e Silvia Valtieri, sarei sempre lì a cambiare e invece loro salpano con me e percorrono un cammino di sincera e vera vicinanza, non strettamente legata all’operazione discografica».

L’accompagneranno anche nel tour di presentazione?
«Sì, con i Filarmonici farò anche i live e lì dal vivo si sentiranno in diretta quelle che nel disco sono rielaborazioni in post-produzione».

Quanto le pesa essere così lodato dalla critica ma appartenere ancora a una nicchia?
«Non è una scelta, io le provo tutte ma senza mortificare né me stesso né l’ascoltatore. Magari questo nuovo esperimento mi rende più popolare. Comunque io della mia carriera non mi lamento».

Gli ultimi suoi lavori sono stati omaggi a Rota e Ciampi. Anche qui c’è un padre nobile alle spalle?
«Tornano i momenti rotiani derivanti dal fellinismo che è retaggio della mia romagnolità, anche se le mie radici familiari sono abruzzesi. E poi ci sarà un apporto al piano di Uri Caine. L’ho conosciuto proprio per l’omaggio a Rota fatto con l’I-Jazz Ensemble di Gianluca Petrella e da allora gli sono stato alle costole finché non l’ho convinto a questa comparsata».

La sua integrità e l’assenza di ostentazione sono il tributo che l’artista De Leo riceve dall’uomo Massimo De Leonardis?
«John è l’artista che mi abita e non sempre dentro l’artista può esprimersi la spontaneità dell’uomo. Io cerco di dare il meglio anche giù dal palco anche se spesso ciò che c’è dietro un artista è piuttosto deludente e poco interessante».

di LORELLA BOLELLI