Bologna, 4 febbraio 2014 - SI DICE che l’arte è libera come l’aria, vola alta sulla politica e sulla società e dalla vita che scorre trae spunti e ispirazione. Ora il romanzo criminale della Uno Bianca, storia di morte e di ferite morali e umane ancora aperte, finisce in musica. Giusto? Sbagliato? Dipende dalla chiarezza del messaggio e dal contesto che ne escono. Non è la prima volta che uno dei capitoli neri d’Italia finisce sul palcoscenico. È successo anche con la strage di Ustica, una vicenda diventata spettacolo teatrale, scarno, evocativo, altamente efficace, nato sotto l’egida dell’associazione parenti delle vittime.

LA STORIA dei fratelli Savi in musica dal titolo ‘Uno Bianca tour difficilmente aggiungerà qualcosa alla riflessione collettiva che Bologna e l’Italia hanno fatto in questi anni dopo l’overdose di cronaca con gli arresti, i processi, le condanne, il dolore impossibile da archiviare. I parenti delle vittime per loro ammissione sapevano e non sapevano di quest’opera in musica, il titolo (Uno Bianca tour), esce tragicamente dal buon gusto dato che sulla scena, quella vera, ci sono 24 morti e 102 feriti, i brani sono solo strumentali.

L’arte è libera, certo e le opinionin si scontrano sul web, arena permanente dove ormai tutti si confrontano. La sensazione amara è che ci troviamo di fronte ad una buona intenzione deragliata in una operazione maldestra che accenna e non spiega, che cavalca più l’onda dello show che la passione civile. Parlare della Uno bianca e dei misteri che ancora in parte circondano quella stagione di sangue e di morte non è cosa semplice. E non è cosa per tutti.

E’ un argomento che va maneggiato con cura e perizia e soprattutto con la capacità di saper trasferire la conoscenza dei fatti e il messaggio giusto soprattutto a chi non ha l’età per ricordare e per capire quegli anni di piombo. Altrimenti è tempo speso male e la memoria si macchia inutilmente. Non tutto può diventare un concerto rock.

Beppe Boni